20 settembre

Le riserve della Banca d’Italia ammontano a 119 tonnellate d’oro in lingotti e monete. Oggi la Germania ne ha chiesto la consegna e inutilmente il governatore Azzolini ha cercato di nasconderne una parte.

Nel primo pomeriggio di oggi il console generale tedesco Eitel Fredrich Möllhausen si è recato a Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia, e ha ordinato al governatore Vincenzo Azzolini la consegna di tutte riserve auree custodite. Il console era accompagnato dal tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, comandante della Gestapo a Roma.

Il governatore ha tergiversato: non poteva prendere da solo una decisione del genere, doveva riunire il direttorio della banca. Azzolini è minacciato di morte se non consegna immediatamente l’oro. Interviene in sua difesa il generale Carlo Calvi di Bergolo, governatore di Roma dal 10 settembre in base agli accordi tra Kesserling e Caviglia, che gli ordina di consegnare tutto l’oro. Azzolini convoca tuttavia il direttorio, ma il direttorio approva all’unanimità la consegna ai tedeschi delle riserve auree ed il loro trasferimento a Milano.1

Con alcuni autocarri sono così trasferite da Möllhausen a Villa Wolkonsky, sede dell’ambasciata tedesca2, le 119 tonnellate d’oro suddivise in 626 cassette (i lingotti) e 543 sacche di tela grezza (le monete).

Nei giorni precedenti Azzolini, avuto sentore delle mire dei tedeschi, ha cercato di nascondere parte dell’oro all’interno della banca, in una intercapedine dietro il “caveau”. L’idea è venuta al cassiere centrale Fabio Urbini, che ne ha parlato con il vice direttore generale Niccolò Introna; questi l’ha proposto ad Azzolini e Azzolini l’ha approvato sia pure con qualche titubanza. La notte scorsa 52 tonnellate d’oro delle 119 sono state nascoste nell’intercapedine, la porta d’accesso murata e con una serie di potenti ventilatori e forti lampade elettriche l’intonaco è stato asciugato in modo da farlo sembrare vecchio. È stata preparata anche una falsa documentazione contabile: le 52 tonnellate d’oro sono state trasferite il 19 dicembre 1942 alla filiale di Potenza.

Stamani è arrivata la richiesta ufficiale da parte dell’ambasciata tedesca di avere l’oro. Tramite è stato il commissario straordinario alle finanze, cioè il facente funzione di ministro di un governo che non c’è, Ettore Cambi. I tedeschi sono in possesso di documenti che attestano la quantità esatta dell’oro custodita nella Banca d’Italia. Il nascondiglio è scoperto, in fretta e furia sgomberato e l’oro rimesso al suo posto.

Sulla destinazione finale dell’oro l’alta dirigenza nazista è incerta. Fra le varie tesi ne prevalgono due: quella di Hermann Göring, comandante il capo della Luftwaffe e coordinatore dello sfruttamento economico dei paesi occupati, che propone di trasferire l’oro a Berlino considerandolo bottino di guerra. L’altra tesi, che risulterà vincente, è quella di Rahn: trasferire l’oro alla filiale di Milano della Banca d’Italia. L’oro, pur essendo sotto controllo tedesco, sarebbe così a disposizione di Mussolini che potrebbe usarlo per contribuire alle ingenti spese belliche. Per seguire le vicende dell’oro Walter Funk, ministro dell’economia e presidente della Deutsche Reichsbank, la banca centrale tedesca, invierà in Italia Maximilian Bernhuber, un alto dirigente militarizzato.

Da Villa Wolkonski l’oro sarà trasferita alla filiale della Banca d’Italia di Milano per ferrovia in due spedizioni, la prima dopodomani 22 settembre e la seconda il 28. Il direttore della filiale ottiene una delle chiavi necessarie per aprire il “caveau”. Il 13 dicembre il ministro delle finanze della Repubblica sociale Domenico Pellegrini Giampietro, adducendo ragioni di sicurezza, ordinerà di trasferire l’oro da Milano a Fortezza in val d’Isarco, una zona sotto la giurisdizione dell’Alpenvorland3, la regione praticamente già annessa alla Germania. L’operazione sarà eseguita il 16 dicembre. Della decisione di Pellegrini, Azzolini ne è informato da Bernhuber. A Fortezza l’oro è collocato in una caverna sottostante un forte militare tedesco.

In dicembre la Banca d’Italia verrà trasferita da Roma a Moltrasio sul lago di Como. Azzolini riuscirà a trasferire da Roma soltanto 105 dipendenti su 1200, richiamandosi a difficoltà logistiche. Continuerà a fare la spola con Roma, dove è rimasto il vice direttore generale Introna.

Il 5 febbraio dell’anno prossimo tra i governi della Germania e della Rsi si giungerà a un accordo, l'”accordo di Fasano del Garda”, come sarà chiamato dal luogo in cui ha sede l’ambasciata tedesca: l’Italia avrebbe contribuito alle spese militari con parte dell’oro della Banca d’Italia, fino a quel momento ancora integro.

Il 29 febbraio cinquanta tonnellate d’oro verranno trasferite per ferrovia da Fortezza a Berlino alla Deutsche Reichsbank con l’avallo del ministro delle finanze Pellegrini, che nel frattempo ha nominato commissario straordinario della Banca d’Italia Giovanni Orfera. Una seconda spedizione d’oro (21 tonnellate) in Germania avverrà nel mese di ottobre. In totale saranno quindi trasferite in Germania presso la Banca centrale tedesca 71 della 119 tonnellate d’oro.

Il 20 aprile la Banca d’Italia con il consenso tedesco invierà 23 tonnellate d’oro in Svizzera, in adempimento di obblighi precedentemente assunti dall’Italia nei confronti della Banca dei regolamenti internazionali e della Banca nazionale svizzera. In totale escono da Fortezza 94 tonnellate d’oro su 119. Ne restano 25.

Alla fine di aprile dell’anno prossimo Vincenzo Azzolini è a Roma e si nasconderà attendendo l’arrivo degli alleati. Gli alleati arriveranno i primi di giugno e il primo agosto Azzolini sarà arrestato per ordine dell'”Alto Commissario aggiunto per la punizione dei delitti del fascismo”, Mario Berlinguer, padre di Enrico il futuro segretario del Pci. Il 9 ottobre comincerà il processo; pubblico ministero è Sinibaldo Tino, fratello del futuro presidente di Mediobanca, Adolfo. A rappresentare la Banca d’Italia come parte civile sarà invece il settantacinquenne Niccolò Introna, nominato commissario dell’istituto alla liberazione di Roma.

Il processo si concluderà con la condanna del governatore a 30 anni di reclusione. Azzolini rimarrà in carcere quasi due anni; sarà scarcerato nel settembre del 1946 in seguito all’amnistia voluta da Togliatti. Nel febbraio 1948 la Corte di Cassazione annullerà la sentenza di primo grado, perché il fatto non costituiva reato. Azzolini morirà a 85 anni nel 1967.4


1 Sandro Gerbi sul “Corriere della sera” del 13 ottobre 1994 ha così ricostruito il “processo dell’oro” svoltosi cinquant’anni prima, imputato il governatore della Banca d’Italia Vincenzo Azzolini: “L’Alta Corte di Giustizia entrò senza preamboli nella settecentesca sala riunioni dell’Accademia dei Lincei, al secondo piano di Palazzo Corsini. Erano le 12,35 di sabato 14 ottobre 1944. Vincenzo Azzolini, quasi sessantatre anni, da tredici governatore della Banca d’Italia, attendeva in piedi, le mani appoggiate sul tavolo, pallido, ma calmo. Bazza larga, da prelato, capelli grigi, baffetti a fior di labbra, occhiali a stanghetta e, all’occhiello, il distintivo di una medaglia d’argento, sapeva di rischiare la vita. L’imputazione era infatti gravissima. Pendeva su di lui l’accusa di aver “posteriormente all’8 settembre 1943 in Roma collaborato con il tedesco invasore, facendo al medesimo la consegna della riserva aurea della Banca d’Italia”. Ed il clima politico sociale non gli era certo favorevole, con una popolazione ancora dolente e bramosa di vendetta per le ferite dell’occupazione nazista. Nel silenzio e nella trepidazione generali, sotto la spada di Damocle della pena capitale, il presidente Lorenzo Maroni – a sua volta da ambienti di destra indicato come cripto fascista – diede lettura del verdetto: con le attenuanti generiche, trent’anni di reclusione. Alle 12.36 era tutto finito. L’imputato veniva trasferito a Regina Coeli e di lì al reclusorio di Procida.

“L’episodio è oggi dimenticato, ma a quei tempi il governatore Azzolini era un personaggio assai noto, non foss’altro perché la sua firma compariva su tutte le banconote del Regno. Era uno dei grandi ‘commis’ dello Stato, con alle spalle un ‘cursus honorum’ importante. Nato a Napoli nel 1881, si era qui laureato in giurisprudenza, con una tesi in scienza delle finanze (relatore Francesco Saverio Nitti). L’economista Giorgio Mortara lo ricorda come un ragazzo “molto serio e studioso, ma, al contrario di certi sgobboni, simpatico perché buono, modesto e sempre pronto al sorriso”. Entrato nel 1905 al ministero del tesoro, aveva percorso tutti i gradi della carriera fino ad essere nominato direttore generale nel 1927, su proposta dell’allora ministro Giuseppe Volpi di Misurata. Un anno dopo fu chiamato alla direzione generale della Banca d’Italia – sotto il mitico governatore Bonaldo Stringher – scavalcando candidati interni come il vicedirettore generale Niccolò Introna. Finalmente, il 10 gennaio 1931, alla morte di Stringher, Azzolini veniva eletto governatore”.

Continua Gerbi: “la sentenza suscitò notevole emozione nel mondo economico italiano. Raffaele Mattioli, amministratore delegato della Banca Commerciale Italiana, ne fu sconcertato; Diego Stringher, figlio di Bonaldo, diede addirittura le dimissioni da sindaco della Banca d’Italia; Giorgio Mortara manifestò pubblicamente la propria solidarietà; Paolo Baffi volle più tardi scrivere che ‘la giustizia’ poneva drammaticamente fine alla carriera di Azzolini, come l’avrebbe posta, trentacinque anni dopo, alla mia”.

L’articolo completo si può leggere sul sito dell’Archivio storico del Corriere della sera.

2 Il terreno su cui sorge Villa Wolkonsky nei pressi di S. Giovanni in Laterano fu donato nel 1830 da Alexander Beloselsky-Belosersky alla figlia Zenaide che nel 1811 aveva sposato il principe Nikita Wolkonsky, aiutante di campo dello Zar Alessandro I. Alla morte dello Zar, nel 1829 Zenaide si trasferisce a Roma e ricevuto in dono dal padre il terreno incarica l’architetto romano Giovanni Azzurri di costruire una villa utilizzando anche i ruderi dell’acquedotto di Nerone che insistono sul terreno allora di undici ettari. Durante i primi anni la villa è utilizzata dalla principessa, che la preferisce alle sue proprietà nei pressi di Fontana di Trevi, che invita nei suoi giardini le principali personalità residenti o di passaggio a Roma: Stendhal, Walter Scott, Fenimore Cooper, Gogol, Donizetti. Morto il marito nel 1844, Zenaide abbandona la villa per dedicarsi una vita più ritirata. Alla sua morte nel 1862 è sepolta nella chiesa dei santi Anastasio e Vincenzo a Fontana di Trevi. Dopo vari passaggi di proprietà e la vendita di gran parte del terreno facente parte della villa, approfittando dello sviluppo urbano della zona, nel 1922 la villa è acquistata dal governo tedesco e diventa la residenza dell’ambasciatore. Dopo la liberazione di Roma nel 1944 il governo italiano la sequestra, tenuto conto del suo uso per scopi non-diplomatici e, finita la guerra, la definisce preda bellica. La villa fa poi parte dei beni considerati come riparazione dalla Commissione alleata di controllo. Nel 1946 l’ambasciata britannica, che si trovava a villa Torlonia a Porta Pia, è distrutta da un attentato ebraico ed il governo italiano mette a disposizione del governo inglese villa Wolkonsky, che da allora diventa sede dell’ambasciata.

3 v. giornata del 16 settembre

4 Una completa ricostruzione delle vicende dell’oro è contenuta nella memoria “Vicende riguardanti l’oro depositato presso la Banca d’Italia (1943-1958)”, presentata dalla Banca d’Italia alla conferenza sull'”Oro nazista”, tenutasi a Londra nel dicembre 1997.

20 settembre – Di più

– Il 23 febbraio 1999 il sottosegretario al Tesoro Roberto Pinza (governo d’Alema 21 ottobre 1998 – 22 dicembre 1999), rispondendo alla Camera ad un’interrogazione dell’on. Sandro Delmastro delle Vedove, ha ricordato che il 17 maggio 1945, a conflitto terminato, le autorità militari alleate riconsegnarono al governo italiano l’oro residuo trovato a Fortezza e cioè 153 cassette e 55 sacche d’oro per un totale di 22.941,224274 chili d’oro.

“Nel 1946 – ha detto Pinza – veniva costituita, da parte dei governi americano, inglese e francese, una commissione tripartita incaricata di richiedere a ciascuno dei paesi depredati delle riserve, una valutazione delle perdite subite, per procedere poi alla restituzione pro quota dei quantitativi di oro monetario rinvenuti in Germania o che avrebbero potuto essere recuperati da un paese terzo presso il quale fossero stati trasferiti dalla Germania. Tenuto conto delle restituzioni avvenute a favore dell’Italia, l’oro non ancora recuperato si commisurava, fino al 1996, a 24.903 chilogrammi”.

La commissione tripartita, nel corso del 1998, prima di sciogliersi, “ha proceduto ad un’ultima residua assegnazione dell’oro recuperato. All’Italia è spettato un quantitativo di 765 chilogrammi circa. Di conseguenza, la parte non restituita della riserva aurea si è ridotta a 24.138 chilogrammi circa. L’Italia ha, perciò, ricevuto circa il 64 per cento del totale di oro sottratto dai nazisti.

Il sottosegretario ha precisato inoltre che il governo italiano ha deciso di partecipare, nel corso del 1998, al nuovo fondo internazionale per le vittime del nazismo, conferendo al fondo stesso il controvalore della vendita alla Banca d’Italia della residua assegnazione di oro monetario. La vendita alla Banca d’Italia ha avuto luogo il 29 giugno ed il controvalore è stato di circa 12,8 miliardi di lire.

All’atto di ricevere dalla commissione tripartita il quantitativo d’oro di 765 chilogrammi, consapevole della mancata restituzione di una quota residua di oro, il plenipotenziario italiano ha reso, in data 25 giugno 1998, una dichiarazione con la quale il Governo italiano riafferma il diritto relativo all’oro non recuperato, nel caso in cui si presentino occasioni di recuperarlo o di ottenerne il rimborso.