11 settembre
– Aggiornamento del 29.06.11 –
Firenze, villa Torrigiani in via dei Serragli, sede del Comando logistico della quinta Armata. Sono le 10.30. Il generale Mario Caracciolo di Feroleto ha convocato nel suo ufficio i generali e gli ufficiali superiori. Caracciolo è il comandante dell’armata che ha il compito di difendere tutta l’Italia centrale, dalla Spezia al Garigliano, a sud di Gaeta, e da Recanati a Vasto, a nord del Gargano.
“Entrano nel mio ufficio pallidi e silenziosi” scriverà il generale1.”Espongo loro qual è la situazione. A Firenze non c’è più nulla da tentare. Non abbiamo più truppe, non collegamenti, non possibilità di agire contro le soverchianti forze nemiche. Io andrò a Roma. Ci sarà pure qualcuno che comandi, nella capitale; se non è lo Stato maggiore, sarà il ministero della guerra o un altro ministero. Loro ufficiali si mettano in abito civile e restino a mia disposizione”. In abito civile lui lo è già: un doppio petto blu.2
Il generale Caracciolo non sa ancora che il re, il maresciallo Badoglio e tutto il governo sono fuggiti da Roma, si sono imbarcati sul cacciatorpediniere “Baionetta” e ora sono al sicuro a Brindisi; ma finge di non sapere che nella capitale già da ieri comandano i tedeschi. Glielo ha detto per telefono il capo di stato maggiore del Comando difesa di Roma, colonnello Capitani: nella capitale la lotta è cessata e il generale Calvi di Bergolo ha trattato col maresciallo Kesselring la resa della città.
Nel cortile della villa Torrigiani si sono intanto raccolti gli ufficiali inferiori, i sottoufficiali, il personale di truppa, i piantoni, gli scritturali, i telegrafisti al completo. “Superando l’emozione che mi soffoca” scriverà ancora, “coprendo con la voce più alta i battiti del cuore, volgo a tutti un saluto. Li incoraggio a non disperare della sorte della patria. L’Italia è immortale e il sole tornerà a risplendere… Andate, ora”.
Nel suo scritto il generale Caracciolo scrive “andate”, ma non dice dove. Lo dicono i testimoni3: alla truppa ha detto di andare, bene inquadrata agli ordini di un tenente, al Comando della difesa territoriale, che è in piazza San Marco, nel centro della città. Strano. Proprio stamani presto il generale Chiappi gli ha telefonato per dirgli che il palazzo del Comando è già in mano dei tedeschi e che lui stesso è praticamente in stato d’arresto. Gli ha detto anche di sapere che i tedeschi stanno cominciando ad arrestare tutti gli uomini trovati in città in divisa militare.
Come si è arrivati a questa squallida conclusione? La sera dell’8, tre giorni fa, il generale Caracciolo ha saputo della firma dell’armistizio poco prima delle otto, quando qualcuno gli ha dato notizia del comunicato che il maresciallo Badoglio ha cominciato a leggere alla radio alle 19.42. Il generale era nella sala della mensa ufficiali nel palazzo Manni sulla rocca di Orte. A Orte il Comando dell’Armata si era trasferito da Viterbo una diecina di giorni prima.
La voce dell’armistizio era circolata nel pomeriggio. Il colonnello capo dell’ufficio informazioni dell’Armata aveva intercettato radio Londra, aveva sentito dell’armistizio e aveva subito informato il generale Caracciolo. “È sicuramente una manovra della propaganda angloamericana” ha detto il generale; “Non posso credere che un avvenimento di tanta importanza giunga a un comando di armata per intercettazione di una radio straniera. Non è possibile, non è verosimile, tanto più che solo due giorni prima ho avuto un colloquio col Capo di Stato maggiore, Roatta, La notizia è certamente falsa”.
Il generale Caracciolo aggiunge: “Non posso credere che al Comando dell’armata non siano state date direttive su quello che si dovrà fare o non fare, sul contegno da tenere verso i tedeschi”.
Davvero non erano state date direttive? Il generale stesso scrive che “fino dall’agosto” (il 10 di agosto) “lo Stato Maggiore aveva emanato un ordine, chiamato Ordine 111 c.t., secondo il quale tutti i comandi si dovevano mettere in condizioni di resistere in ‘caso di aggressione'”.
Caracciolo conosceva, dunque, l’111 c.t., anche se non lo ricorda bene; e l’ha anche applicato4: i piani di difesa dovevano essere cambiati; le unità mobili dovevano essere dislocate a cuscinetto delle due divisioni tedesche presenti nel territorio dell’Armata; le divisioni costiere, disposte faccia al mare contro un possibile sbarco alleato, dovevano rivolgere le artiglierie verso l’interno. Il senso era implicito, anche se non detto esplicitamente: le alleanze erano ribaltate; il nemico non era più l’angloamericano. Il 111 c.t. gli era stato portato da un ufficiale superiore da Roma a Margine Coperta, a poca distanza da Montecatini Terme, dove, nella villa Arcuri, si trovava allora il Comando (poi si è spostato a Viterbo, nel palazzo delle scuole medie, poi sulla rocca di Orte, nel palazzo Manni).
Sei giorni fa, il 5 settembre, il generale Caracciolo è stato convocato a Monterotondo, dove si trovava il Comando di stato maggiore dell’esercito, e alle 9.30 gli è stata fatta leggere la Memoria 44 op5, che integra il precedente Ordine 111 c.t. La prima parte della Memoria, intitolata “compiti generici”, ordina di sorvegliare i movimenti delle truppe tedesche; di predisporre colpi mano per impossessarsi dei depositi di munizioni, viveri, carburanti, materiali vari e centri di collegamento dei tedeschi, prevedendone l’occupazione o la distruzione; di predisporre colpi di mano su obiettivi considerati vulnerabili per le forze germaniche; di presidiare edifici pubblici, depositi, comandi, magazzini e centrali di collegamento italiani. Poi, dopo gli ordini generici, gli è stata fatta leggere la parte che riguardava la quinta Armata: con le divisioni “Alpi Graie” e “Rovigo” “tenere saldamente la Spezia”; con la divisione “Ravenna” “puntare su reparti e magazzini della terza divisione corazzata germanica, dislocata fra il lago di Bolsena e la zona di Siena”.
Tornato a Orte, il 6 settembre il generale Caracciolo ha avuto la visita del principe di Piemonte, che – così gli aveva preannunziato – aveva “qualcosa di importante” da dirgli. Il principe, che era anche il comandante del Gruppo armate sud, è arrivato a Orte, ha parlato con lui, non gli ha detto “qualcosa di importante” e poi se ne è andato, accennando a un nuovo incontro il giorno dopo, sempre per dirgli “qualcosa”. Il giorno dopo, ad Anagni, dove era il Comando del Gruppo armate sud, Caracciolo si è incontrato di nuovo col principe e poi col capo di stato maggiore dell’esercito, il generale Roatta. “Qualcosa” dell’armistizio? Niente, né dal principe, né da Roatta.
Così il 7. L’8, a Orte, l’ufficiale tedesco di collegamento con la terza divisione corazzata tedesca, un certo Koch, ha chiesto a mezzogiorno di essere ricevuto per congedarsi. Perché? Perché parte per andare a prender moglie. È però in partenza anche la divisione tedesca, dislocata intorno al lago di Bolsena; già dalla sera prima ha cominciato a muoversi verso sud in pieno assetto di guerra.
La sera, alle otto, il proclama di Badoglio con l’annunzio dell’armistizio. Scrive Caracciolo: “Il proclama è l’unica comunicazione che ricevo. Io, uno dei capi di grado più elevato dell’esercito italiano; io, che avevo ricevuto l’incarico di difendere uno dei due punti più importanti d’Italia, apprendo così una decisione grave, che mette l’esercito, improvvisamente, senza preparativi, nella più difficile situazione”. E poi: “La 44 op dichiarava che quando si manifestassero atti di ostilità tedesca noi dovevamo senz’altro reagire; non solo difenderci ma passare a provvedimenti offensivi. Il comunicato di Badoglio mette un freno, anzi un veto ad ogni azione offensiva. Reagire solo se attaccati”.
Per tutta la notte fra l’8 e il 9 da Orte si fanno diecine di tentativi per mettersi in contatto telefonico col centro, a Monterotondo col Comando di stato maggiore dell’esercito, a Anagni col Comando del Gruppo Armate sud, a Roma col Ministero della guerra. Solo verso mezzanotte – scrive Caracciolo – si fa vivo lo Stato maggiore con un fonogramma breve e secco: “In relazione all’armistizio non devono essere contrastati sbarchi angloamericani”.
Un testo simile è ridicolo, più che inutile dopo la firma dell’armistizio; e il generale Caracciolo fa evidentemente confusione. Intorno all’una arriva da Roma non un fonogramma ma una telefonata, come racconta il colonnello Mario Torsiello. Un ufficiale dello Stato Maggiore legge un breve testo: “Ad atti di forza rispondere con atti di forza”. È solo la ripetizione dell’ambiguo comunicato di Badoglio “la forze italiane in ogni luogo reagiranno ad eventuali attacchi”? Forse; ma l’applicazione della Memoria 44 op non aveva bisogno di ordini di esecuzione. La Memoria indicava due possibilità di applicazione: “a seguito di ordine dello Stato maggiore” da impartire con un fonogramma “attuare misure ordine pubblico memoria 44” oppure “di iniziativa dei comandanti in posto, in relazione alla situazione contingente”.
Forse il generale Caracciolo non si è ricordato di quest’ultima avvertenza, contenuta in un documento che gli è stato letto ma non consegnato; e sicuramente la frase di Badoglio non fornisce autorità di decisione a chi paventa di prendere decisioni.
Alle sette del mattino un ufficiale di servizio riesce a mettersi in contatto con un ufficiale dello Stato maggiore a Monterotondo; è proprio lui, il colonnello Torsiello, che ripete – sempre secondo Caracciolo – la solita frase: “Attuare la 44 op se i tedeschi compiono atti di forza”. Ma nella mattinata la situazione si chiarisce. Da Roma giunge la notizia che i tedeschi hanno attaccato. “Essi hanno attaccato” scrive Caracciolo, “dunque noi possiamo e dobbiamo reagire”.
Finalmente. E Caracciolo reagisce: ordina al comandante del presidio di Viterbo di impedire l’occupazione del campo di aviazione; ordina al comandante militare della stazione di Orte di fermare un treno tedesco carico di carburante; ordina al secondo corpo d’armata di “tenere” Livorno; ordine al sedicesimo corpo d’armata di “tenere” la Spezia (ma la piazza è già in mano delle divisioni tedesche 65 e 305); ordina di “tenere” Tarquinia; ordina di resistere ai tedeschi che minacciano di bombardare Orvieto; ordina di “tenere” Civitavecchia e la ferrovia che porta a Roma.
Ordini di questo tipo sono parecchi, ma il generale ammette alla fine, senza spiegarne la ragione, che “ogni tentativo è vano” e che “ogni sforzo cade nel vuoto”. Dice anche che “l’idea di considerare i tedeschi come nemici non giunge ancora fino in basso e, dove giunge, incute paura”.
È dunque il momento di prendere un’altra decisione: anche “per non cadere nelle mani della terza divisione corazzata tedesca”, il Comando della quinta Armata si trasferisca immediatamente e rapidamente nella sede logistica di Firenze. La sede è nella bella villa Torrigiani, col suo grande parco, al limite del popolare quartiere di San Frediano, a sud dell’Arno.
A Firenze il Comando dell’Armata è arrivato, bene o male, nelle prime ore di ieri: e ora, a Firenze, bisogna difendere la città. Ma come? La quinta armata non ha più truppe. Ai primi di settembre le divisioni che difendevano Roma e il Lazio sono passate alle dirette dipendenze dello Stato maggiore generale (e lo Stato maggiore ora dov’è?). La divisione Ravenna, stanca della campagna di Russia, un terzo delle forze in licenza, priva di artiglieria, non si sa più se esista ancora. A Firenze c’è un battaglione di bersaglieri e uno di paracadutisti; poi il personale dei magazzini e dei depositi. Nient’altro.
In mattinata finalmente un contatto telefonico. È col Comando della difesa di Roma: “Si combatte alle porte di Roma. Non si sa dove sia né lo Stato maggiore né il Comando supremo. Non si sa dove sia il governo”. Nel pomeriggio – scrive Caracciolo – “arriva la notizia che Livorno e Grosseto sono in mano tedesca; poi che è caduta Piombino. Anche la Lombardia e l’Emilia sono totalmente occupate”. In tarda serata qualcuno telefona da Roma: alle 18 il generale Calvi ha firmato la resa col maresciallo Kesselring. “Il colpo di grazia” dice Caracciolo.
Siamo a stamani 11. Dal Comando della difesa territoriale in piazza San Marco un colonnello, De Carli, tiene informato il generale Caracciolo. È arrivata un’auto con una grande bandiera bianca spiegata; poi, un po’ dopo, altre auto e poi autoblinde e poi carri armati. A bordo della prima auto c’è un generale tedesco; chiede di parlare con la massima autorità militare. È il generale Chiappi. Lo informa che deve occupare le caserme e disarmare il presidio. Lo informa che le sue truppe hanno già presidiato le porte della città, le piazze principali, i ponti sull’Arno. Alla fine fa arrestare il generale Chiappi e tutti gli ufficiali del Comando. È l’ultima telefonata che il colonnello De Carli fa a Caracciolo. Poi il silenzio. Firenze è in mano ai tedeschi. Senza colpo ferire.
“È finita. Addio quinta Armata”. Così il generale Caracciolo conclude il suo racconto e così, più o meno, finiscono le altre armate: la seconda a Susak in Croazia, la quarta a Sospel in Provenza, la settima a Potenza, l’ottava a Padova e così i Comandi in Sardegna e in Corsica.
Come è potuto accadere? Qualche spiegazione ce la suggerisce quello che è accaduto al Comando della quinta Armata del generale Caracciolo a Orte l’8 settembre e il giorno dopo e poi a Firenze ieri e stamani.
Riepiloghiamo i fatti e mettiamoli in ordine. Primo fatto L’Ordine 111 c.t., cioè il documento più importante, è arrivato sicuramente per tempo. È partito dallo Stato maggiore dell’esercito a Monterotondo il 10 di agosto ed è arrivato a destinazione nel giro di due o tre giorni, almeno tre settimane prima dell’armistizio. La memoria 44 op (ricordiamo che lo Stato maggiore riteneva che l’armistizio sarebbe stato annunziato non l’8 ma il 12) è invece partita tra le 7 e le 14 del 2 settembre ed è arrivata nel pomeriggio al Comando della seconda Armata (in aereo a Susak), in serata al Comando dell’ottava (in aereo a Padova), nel tardo pomeriggio del 3 al Comando della quarta (in aereo a Sospel), nella notte fra il 3 e il 4 al Comando della settima (in auto a Potenza) e in aereo al Comando in Sardegna, la mattina del 4, in aereo, al Comando in Corsica; la mattina del 5, è stata consegnata a mano al Comandante della quinta Armata a Monterotondo.
Domanda: con quale rapidità le direttive della memoria 44 op sono state trasmesse dai Comandi d’armata ai Comandi di corpo d’armata e da questi ai Comandi di divisione e da questi ai reparti dipendenti? Nessuno dei soggetti coinvolti sapeva che l’armistizio stava per essere firmato od era stato già firmato; di più: quasi nessuno sapeva di trattative per un armistizio. Sull’arrivo delle istruzioni fino ai comandi di divisione perfino il generale Rossi6 è scettico: “È ovvio che occorreva un minimo di tempo per la diramazione degli ordini, perché a mano a mano che si scendeva ai minori gradi bisognava dare ordini particolareggiati per passare alla pratica attuazione delle direttive superiori”.
Secondo fatto. Le premesse della nuova situazione erano chiare nell’Ordine 111 c.t.: i piani operativi devono essere cambiati in funzione non più di antisbarco angloamericano ma di contenimento tedesco; il testo del documento era oscuro perché non si voleva dire che le alleanze erano ribaltate, ma il senso era chiaro: il nemico è la Germania. Sulle operazioni da compiere indicate dalla Memoria 44 op la versione più nota è quella del colonnello Torsiello, che è l’ufficiale che contribuì a scriverla e la batté a macchina: “predisporre colpi di mano per impossessarsi di depositi, viveri, carburanti, materiali vari ecc.”; “predisporre colpi di mano su obiettivi considerati vulnerabili per le forze germaniche” ecc. Il verbo “predisporre” significa “preparare in anticipo”. Un’altra versione è del generale Francesco Rossi che nel settembre 1943 era sottocapo di stato maggiore dell’esercito (stava quindi con Torsiello): “interrompere a qualunque costo, anche con attacchi in forza ai reparti germanici di protezione, le ferrovie e le principali rotabili alpine”; “agire con grandi unità e raggruppamenti mobili contro le truppe tedesche, a cavallo delle linee di comunicazione”7; “raggruppare il maggior quantitativo possibile delle rimanenti truppe in posizioni centrali e opportune”; “passare a un’azione organizzata d’insieme, appena chiarita la situazione”. Un sunto ancora diverso è pubblicato in “Una nazione allo sbando” di Elena Aga Rossi (Il Mulino, 2003); è attribuito al generale Becuzzi, comandante della divisione Bergamo operante in Jugoslavia, e dice: “impedire con ogni mezzo ai tedeschi di occupare i territori da noi tenuti; mettere fuori i tedeschi con ogni mezzo e con la massima energia dai campi di aviazione; distruggere gli apparecchi, le installazioni e i campi stessi; distruggere depositi di carburante, magazzini ecc,; mettere fuori i reparti tedeschi isolati”.
Domande: i documenti dell’Ordine 111 c.t. e della Memoria 44 op sono stati bruciati dopo essere stati letti. I destinatari hanno preso buona nota del contenuto? Il 111 c.t. faceva intendere che i nemici non erano più gli angloamericani ma i tedeschi, cioè gli alleati del giorno prima. Con la politica di Badoglio (“la guerra continua”) intesa fino all’assurdo a non far capire che le alleanze erano ribaltate, si è sicuri che il senso del 111 c.t. sia stato divulgato a tutti i Comandi inferiori? Sulle direttive della Memoria la versione del colonnello Torsiello (“predisporre colpi di mano” ecc.) non coincide con quella del generale Becuzzi (“mettere fuori”, “impedire”, “distruggere”), né con quella del generale Rossi (“interrompere”, “agire”, “raggruppare” ecc.). Può darsi che la versione più esatta sia quella del colonnello Torsiello, che il documento ha battuto a macchina; ma l’esistenza di versioni differenti conferma l’incertezza sui modi in cui le direttive sono state trasmesse. Quanto e di che cosa sono stati quindi informati i reparti dipendenti, cioè i reparti responsabili degli atti operativi, cioè le divisioni, i reggimenti, i battaglioni, oltretutto non tutti raggruppati ma sparsi nel territorio?
Terzo. La Memoria 44 op prescriveva che l’applicazione delle disposizioni sarebbe dovuta avvenire in seguito a un ordine dello Stato maggiore da emanarsi con un fonogramma contenente la formula convenzionale “attuare misure ordine pubblico Memoria 44 op” oppure “di iniziativa dei comandanti in posto in relazione alla situazione contingente”. Dopo il comunicato dell’armistizio il fonogramma previsto non fu diramato e continuò a non esserlo perché – racconta il colonnello Torsiello – il capo del governo Badoglio rispose negativamente alla richiesta del Comando supremo (Ambrosio), al quale il Capo di stato maggiore (Roatta) aveva chiesto l’autorizzazione a diramarlo.
Domanda: perché Badoglio non volle che fosse diramato il fonogramma attuativo delle misure? Il colonnello Torsiello propone due spiegazioni8. La prima: Badoglio non voleva che fossero gli italiani i primi ad aprire le ostilità. Spiegazione che non convince; i tedeschi hanno già aperto le ostilità; Badoglio dovrebbe saperlo; dovrebbe sapere almeno quello che a quell’ora sta succedendo alle porte di Roma. Seconda spiegazione: Badoglio vuole che l’attuazione dei provvedimenti avvenga di iniziativa dei Comandi periferici senza bisogno di nuovi ordini. È una spiegazione plausibile: Badoglio non vuole assumersi responsabilità. Scrive Torsiello: “Il rifiuto di Badoglio crebbe l’imbarazzo e le preoccupazioni di tutti. La decisione (di non inviare l’ordine di attuazione) toglieva l’ultima speranza per un coordinamento efficace delle operazioni e per ottenere ovunque un atteggiamento di resistenza deciso e risoluto”.
Quarto fatto. Nel corso della notte fra l’8 e il 9, di fronte “a una bufera di richieste telefoniche” – scrive ancora Torsiello – “il Capo di Stato maggiore dell’esercito (Roatta) decise di sua iniziativa la diramazione telefonica ai comandanti o ai capi di stato maggiore dei Comandi che avevano ricevuto la Memoria 44 op” di un fonogramma, che però non conteneva il testo convenzionale (“attuare misure ordine pubblico Memoria 44 op”), cioè il testo che era stato vietato da Badoglio, ma la frase “ad atti di forza reagire con atti di forza”. Era un ordine ambiguo e ricopiava la frase ambigua del comunicato con cui Badoglio aveva annunziato l’armistizio: “le forze italiane… reagiranno a eventuali attacchi di qualsiasi provenienza”).
Domanda: soltanto “reagire”? Il senso del 111 c.t. e le direttive della Memoria 44 op non comportavano il dovere di prendere iniziative contro i tedeschi senza aspettare di essere provocati? di attuare per lo meno quello che era stato ordinato di “predisporre”?
Quinto fatto. L’Ordine 111 c.t. e la memoria 44 op sono documenti dello Stato maggiore dell’esercito e sono stati quindi trasmessi soltanto a Comandi dell’esercito. E l’Aeronautica e la Marina? Il generale Rossi scrive9 che prima della firma dell’armistizio il Comando Supremo, cioè lo Stato maggiore generale, non ha impartito né alla Marina né all’Aeronautica istruzioni analoghe a quelle date all’esercito. Solo il 6 settembre il Comando supremo ha fatto avere un Promemoria n.1 ai capi di stato maggiore della Marina e dell’Aeronautica, che nella giornata del 7 hanno convocato a Roma i loro ammiragli e i loro generali.
Pier Paolo Bergamini in un suo scritto relativamente recente10 conferma che suo padre Carlo, comandante in capo delle forze navali da battaglia, fu chiamato a Roma la mattina del 7 e si incontrò nel pomeriggio con de Courten (che il 3 era stato informato della firma dell’armistizio) e il suo ministro e capo di stato maggiore gli disse… Che cosa? Lo scrive Pier Paolo Bergamini: a suo padre il ministro De Courten comunicò la decisione che la flotta partisse nella mattinata del giorno dopo (l’8) per arrivare “di sorpresa” nel golfo di Salerno all’alba del 9 e così affrontare gli angloamericani nella fase più delicata dello sbarco. Soltanto alle 12.30 dell’8 l’ammiraglio Bergamini ebbe la revoca dell’ordine, in base alle clausole dell’armistizio; un armistizio di cui venne a sapere soltanto con l’annuncio di radio Algeri alle 17.30 del pomeriggio e poi col comunicato letto alla radio da Badoglio poco prima delle 20. Il ministro de Courten aveva quindi ingannato il comandante in capo della marina, facendogli credere, ancora il 7, cioè quattro giorni dopo la firma dell’armistizio, che i nemici erano sempre gli angloamericani11. Il giorno dopo, il 9, l’ammiraglio Bergamini è morto sulla corazzata Roma, affondata a nord della Sardegna dopo un bombardamento aereo tedesco.
Sesto fatto. Nella notte tra l’8 e il 9 se ne sono andati da Roma non solo il Re col principe ereditario Umberto, ma anche il capo del governo Badoglio con i ministri delle tre forze armate (Sandulli, Sorice, de Courten) , il Capo di stato maggiore generale Ambrosio col generale Rossi, e il Capo di stato maggiore dell’esercito Roatta con sette generali. La mattina del 9 nei vari palazzi del potere, a Roma e dintorni, non c’era più nessuno; o scappati col re e Badoglio o scappati a casa.
Domanda: si può capire l’opportunità di non far cadere il re nelle mani dei tedeschi (“non voglio far la fine del re dei Belgi” sembra abbia detto Vittorio Emanuele); e si può accettare la sua fuga in territorio libero dai tedeschi come un atto che risulterà utile per garantire davanti agli Alleati la continuità dello stato italiano. Ma quale giustificazione ha la fuga delle più alte autorità dello stato, civili e militari, che avevano tutte lasciato i posti in cui dovevano esercitare le responsabilità di comando cui erano state deputate? Sulla banchine del porto di Ortona c’erano, l’altro ieri notte, decine di generali con borse e valigie, per imbarcarsi col re e scappare12.
Settimo fatto: la mattina del 9 il generale Caracciolo perde ogni contatto con Roma, dove non trova più nessuno; viene però a sapere che i tedeschi hanno attaccato più o meno dappertutto e decide di “reagire”. Dà ordini qua e là, poi trova che “ogni sforzo cade nel vuoto”; poi, “per non cadere nelle mani” dei tedeschi, pensa che la cosa migliore sia di trasferire a Firenze in fretta e furia il Comando dell’Armata. Ieri a Firenze dà altri ordini per la difesa della città, ma “non c’è più nulla da tentare”. Stamani ha riunito prima i generali e gli ufficiali superiori: si mettano tutti in abito civile (lui l’ha già fatto) e se ne vadano; ma con prudenza, non con le auto militari13.
Subito dopo riunisce sottufficiali e soldati: tanti saluti e se ne vadano anche loro, ma incolonnati al Comando della Difesa territoriale in piazza San Marco (dove è già insediato il Comando tedesco). Di lì a poco anche i soldati butteranno il grigioverde e si metteranno in borghese per non esser presi dai tedeschi, che con un carro armato sono a qualche centinaio di metri. Gli abiti civili – pantaloni e giacche rimediate alla meglio – glieli danno gli abitanti del quartiere14. Stamani alle 9 una loro delegazione si è presentata chiedendo armi, che sapevano essere numerose negli scantinati della villa; erano pronti – hanno detto – a difendere armati la città. Ma nessuno dei capi li ha ricevuti.
Ottavo fatto. Per tutta la scorsa notte e stamani al centralino telefonico del Comando dell’armata sono arrivati tantissime richieste di istruzioni e di ordini. Erano richieste che venivano soprattutto da comandi periferici, di reggimento e di battaglione, che non trovavano più i loro diretti superiori, i comandi di divisione; e tutti assicuravano di essere pronti a combattere i tedeschi. Erano appelli drammatici, ma al centralino c’erano soltanto gli scritturali telefonisti, che prima hanno preso nota, poi non più, non sapevano che cosa rispondere, e alla fine se ne sono andati.
Tutti a casa, allora? Tutti a casa, come dirà nel 1960 un film di Luigi Comencini?15 Tutti, no. A casa, o per lo meno in un posto tranquillo, a Brindisi e dintorni, sotto la protezione degli inglesi e degli americani, sono andati il re e il principe Umberto, Badoglio, tre ministri del governo, tutti gli ufficiali del Comando supremo e dello Stato maggiore. A casa sono andati il comandante della quinta armata, Caracciolo, tre dei quattro comandanti delle altre armate16, quasi tutti i comandanti di corpo d’armata e di divisione. Non sono andati a casa ma in Germania, nei campi di lavoro o di prigionia, quasi 730 mila dei due milioni circa dei militari sotto le armi l’8 settembre17.
Nei prossimi decenni gli storici cercheranno di capire che cosa è successo dopo il 25 luglio e soprattutto in questi primi giorni di settembre e di spiegare le cause di un enorme disastro nazionale, il più grave nella storia dell’Italia: non solo ottocentomila famiglie che a lungo trepideranno per la sorte dei loro figli o padri o mariti, ma ancora paura, sangue e lutti, per venti mesi; un’Italia che diventa campo di battaglia di due eserciti contrapposti, angloamericani e tedeschi, e in più una guerra civile fra italiani e italiani. Quasi 90 mila militari moriranno da oggi in poi e 123 mila civili, di cui 42 mila per attacchi aerei18; le ultime bombe saranno sganciate nei pressi di Udine il 1o maggio del 1945, solo poche ore prima del cessate il fuoco in Italia.
Si sarebbero potuti evitare questi tragici eventi? Come si può giudicare il comportamento degli alti gradi politici e militari prima e dopo l’armistizio? Gli storici, in genere, sono cauti nell’esprimere giudizi e questo non è un libro di storia ma di cronache. Proviamo allora a riepilogare i fatti, mettendoli in ordine.
Il 25 luglio il colpo di stato monarchico che ha portato all’arresto di Mussolini preludeva ovviamente alla richiesta di una pace separata e alla fine della guerra. Ma nel comunicato che annunzia le “dimissioni” del Duce (e questa è la prima bugia) è detto che “la guerra continua”.
Il 26 luglio il governo Badoglio ha fatto arrivare a tutti i comandi militari una circolare che vieta ogni manifestazione, perché, “col nemico che preme” (per nemico si intende l’angloamericano) “qualunque perturbamento dell’ordine pubblico, anche minimo e di qualsiasi tinta costituisce tradimento”. Il 26 luglio e nei giorni seguenti gli interventi anche armati sono stati soprattutto contro le manifestazioni che invocano la pace; e ci sono stati morti e feriti..
Il 10 di agosto è partito dallo Stato maggiore dell’esercito l’Ordine 111 c.t.; è un documento inviato soltanto ai Comandi di armata, ai Comandi difesa territoriale di Bologna e Milano, ai Comandi delle forze armate in Sardegna e in Corsica; deve rimanere segretissimo; da bruciare subito dopo averlo letto. Si ordina di cambiare i piani di difesa non più in funzione antisbarco, ma non si dice esplicitamente che le alleanze sono ribaltate; si parla solo di contenimento, come se ci si preoccupasse soltanto dell’ordine pubblico.
Il 2 di settembre è partita dallo Stato maggiore dell’esercito con gli stessi indirizzi la Memoria 44 op. Qui, finalmente, si parla dei tedeschi, ma anche questo documento è segretissimo, da distruggere appena letto. Significativo il codice di protocollo: op, cioè “ordine pubblico”; si vuol far credere che ci si preoccupa non dei tedeschi ma dell’ordine pubblico; e dei “comunisti”, ovviamente.
Quelli che verranno chiamati i “quarantacinque giorni” di Badoglio, le dichiarazioni, i proclami, i documenti, gli interventi militari contro le manifestazioni pubbliche, tutti gli atti del governo dopo il 25 luglio hanno avuto una comune permanente ragione: la preoccupazione che la rottura dell’alleanza con la Germania potesse portare a immediate rappresaglie, cioè arresti, deportazioni, bombardamenti; insomma l’ossessione della segretezza per paura dei tedeschi. A cui si aggiungono personali comportamenti: insipienza, stoltezza, superficialità, pressappochismo, anche viltà. E, per molti (il re, Badoglio e quanti altri), il terrore di cadere in mano tedesca e forse di essere fucilati..
La posizione del governo e del Comando supremo è così spiegata dal generale Rossi19: “Il segreto doveva essere assolutamente mantenuto sulle trattative di armistizio”, “Non volevamo essere attaccati prima di aver preso i necessari accordi con gli Alleati”, “In un secondo tempo si sarebbe passati ad un’azione più generale, coordinata con quella delle grandi unità angloamericane”. Ma con quale accortezza è stato applicato questo atteggiamento di prudenza?
L’episodio raccontato da Pier Paolo Bergamini e più sopra riferito è incredibile: il Capo della marina militare, l’ammiraglio Bergamini, riceve dal ministro della marina il 7, quattro giorni dopo la firma dell’armistizio, l’ordine di far partire la flotta l’indomani per contrastare lo sbarco angloamericano a Salerno. Addirittura ridicolo è l’altro episodio raccontato ancora dal figlio dell’ammiraglio: la mattina dell’8 il ministro de Courten ha inviato il capitano di fregata Francesco Ruta a Frascati, sede dell’Alto Comando militare tedesco, per chiedere al maresciallo Kesselring una scorta aerea da destinare a protezione della flotta italiana incaricata di contrastare la flotta angloamericana nella acque di Salerno.
È insomma una incredibile sceneggiata, che comincia con “le guerra continua” nel comunicato del 25 luglio e finisce alle 17.45 dell’8 settembre, quando, due ore prima del comunicato letto da Badoglio alla radio, il generale Roatta risponde all’incaricato d’affari tedesco Rudolf Rahn che la notizia dell’armistizio trasmessa dall’agenzia Reuter “è una sfacciata menzogna della propaganda inglese”. Del resto, qualche ora prima, a mezzogiorno, lo stesso Rahn, che era stato ricevuto dal re per le presentazione delle credenziali, aveva ricevuto le più ampie assicurazioni che l’Italia non avrebbe mai capitolato.
Ancora più incredibile in questa incredibile sceneggiata è tuttavia la convinzione del re e di Badoglio che i tedeschi credessero a questa serie di menzogne e di messinscena, di inganni, di finzioni, di simulazioni. I tedeschi non erano così stupidi. Già il 26 luglio, a meno di ventiquattro ore dall’arresto di Mussolini, Hitler ha riunito i suoi più stretti collaboratori nella sua “tana del lupo” a Rastenburg e ha proposto l’arresto del re, di Badoglio e anche del principe Umberto, quello che lui chiamava il “bambino”. Il piano, denominato “Schwarz”, è stato poi abbandonato, sostituito dal piano “Eiche” per la liberazione di Mussolini. Ma subito è cominciata l’occupazione militare dell’Italia: prima la 44a divisione di fanteria e la 136a brigata di montagna, che, entrata dal Brennero, ha preso possesso delle vie di comunicazioni stradali e ferroviarie dall’Austria; poi dalla Francia si sono trasferite in Italia tre divisioni di fanteria e una di paracadutisti, destinata al Lazio, e dalla Germania un’altra divisione di fanteria e due divisioni corazzate. Ai primi di settembre, scrive il colonnello Torsiello20, “le forze tedesche sono tutte concentrate, in atteggiamento di attesa”. Torsiello aggiunge: “I primi atti ostili della Germania contro l’Italia risalgono al 25 luglio”.
Un manifesto con la data di oggi, firmato maresciallo Kesselring, sarà affisso domani sui muri delle case: “1) Il territorio dell’Italia a me sottoposto è dichiarato territorio di guerra. In esso sono valide le leggi tedesche di guerra. 2) Tutti i delitti commessi contro le Forze Armate tedesche saranno giudicati secondo il diritto tedesco di guerra. 3) Ogni sciopero è proibito e sarà giudicato dal tribunale di guerra. 4) Gli organizzatori di scioperi, i sabotatori e i franco tiratori saranno giudicati e fucilati per giudizio sommario. 5) Sono deciso a mantenere la calma e la disciplina e a sostenere le autorità competenti con tutti i mezzi per assicurare alla popolazione il nutrimento. 6) Gli operai italiani i quali si mettono volontariamente a disposizione dei servizi tedeschi saranno trattati secondo i principii tedeschi e pagati secondo le tariffe tedesche. 7) I Ministeri amministrativi e le autorità giudiziarie continuano a lavorare. 8) Saranno subito rimessi in funzione il servizio ferroviario, le comunicazioni e le poste. 9) È proibita fino a nuovo ordine la corrispondenza privata. Le conversazioni telefoniche, che dovranno essere limitate al minimo, saranno severamente sorvegliate. 10) Le autorità e le organizzazioni italiane civili sono verso di me responsabili per il funzionamento dell’ordine pubblico. Esse compiranno il loro dovere solamente se impediranno ogni atto di sabotaggio e di resistenza passiva contro le misure tedesche e se collaboreranno in modo esemplare con gli uffici tedeschi”.
1 Questo racconto è basato sulla memoria che il generale Caracciolo ha scritto e pubblicato sul primo fascicolo, anno LXX, Napoli 1958, della “Rivista storica italiana“. Alcune precisazioni sono state aggiunte dall’autore di questo libro, Sergio Lepri, che in quell’epoca era in servizio come sottufficiale al Comando della quinta Armata (si veda la sua testimonianza nelle giornate del 10 agosto e dell’8 settembre).
2 Si veda la testimonianza di Sergio Lepri nella nota 15 della giornata dell’8 settembre.
3 Si veda ancora la testimonianza di Sergio Lepri.
4 Si veda la giornata del 10 agosto e ancora la testimonianza di Sergio Lepri.
5 Per la Memoria 44 op si veda la giornata del 2 settembre. Per la presa di conoscenza della Memoria da parte del generale Caracciolo, il racconto qui riferito è del colonnello Mario Torsiello ed è pubblicato nel numero 3, marzo 1952, della “Rivista militare“, organo del Ministero della difesa-esercito. Nelle sue memorie il generale Caracciolo scrive invece che il 44 op (lui la chiama O.P. 44) gli fu consegnata il 4 settembre a Orte da un ufficiale dello stato maggiore giunto da Monterotondo. Nel sunto che ne dà non parla degli ordini principali (predisporre colpi di mano ecc., presidiare edifici pubblici ecc.) e accenna invece a possibili colpi di mano dei tedeschi per “impadronirsi del governo e della Casa reale”. Di un tentativo tedesco di questo genere è corsa voce, ma il tema non è toccato nel suo testo dal colonnello Torsiello. È un altro segno che fa dubitare dell’attenzione con cui fu letto, e poi ricordato, il documento, subito distrutto.
6 In “Come arrivammo all’armistizio”, Garzanti, 1945.
7 In “Come arrivammo all’armistizio“, già citato. Interessante è una nota che il generale Rossi mette in calce: “Non ricordo se la Memoria 44 contenesse gli ordini particolari per questo compito (agire con grandi unità contro le truppe tedesche) o se ne accennasse solo genericamente, riservandosi Roatta di precisarli a voce, come di fatto poi fece”.
8 Sempre nel racconto pubblicato sulla “Rivista militare“; vedi nota 5.
9 In “Come arrivammo all’armistizio“; già citato.
10 In “Le forze navali da battaglia e l’armistizio” nel supplemento della “Rivista marittima” del gennaio 2002.
11 In una lettera inviata dopo la fine della guerra al ministro della difesa Emilio Taviani, l’ammiraglio Luigi Sansonetti, che l’8 settembre era sottocapo di stato maggiore della marina (Capo era l’ammiraglio de Courten, che era anche ministro della marina) scrive: “Che si trattasse di un’armistizio fu comunicato al ministro e capo di stato maggiore della marina – sotto il vincolo del più assoluto segreto, anche verso di me, suo diretto collaboratore – soltanto la sera del 3, quando invece l’armistizio era già stato firmato. Le clausole navali – le sole veramente importanti – gli furono comunicate solo il giorno 6. Perciò la mattina del 7 de Courten portò al Comando Supremo – e volle essere accompagnato da me per testimonianza – una vibrante protesta scritta per essere stata tenuta la Marina completamente all’oscuro di trattative che così direttamente la riguardavano”.
Sull’affondamento della corazzata Roma e la morte dell’ammiraglio Bergamini si veda la giornata del 9 settembre.
12 Sul “Baionetta“, oltre a Ambrosio, di generali ne salirono otto: Rossi del Comando supremo; Roatta, De Stefanis, Mariotti, Utili, Zanussi, Aliberti, Di Raimondo dello Stato maggiore dell’esercito
13 Così racconta il generale Caracciolo nel suo saggio; vedi nota 1
14 Ancora nella testimonianza di Sergio Lepri; vedi nota 2.
15 Il film, su soggetto di Age e Scarpelli, aveva come interpreti Alberto Sordi (il protagonista), Eduardo De Filippo, Serge Reggiani, Carla Gravina. C’è una frase, all’inizio, che spiega molte cose; è il tenente (Sordi) che telefona: “Signor colonnello, accade una cosa incredibile: i tedeschi si sono alleati con gli americani! Ci stanno attaccando”.
16 Mario Vercellino della quarta armata, Mario Arisio della settima, Mario Robotti della seconda. Italo Gariboldi, dell’ottava, sarà invece fatto prigioniero dai tedeschi. Mario Robotti è uno dei generali dichiarati “criminali di guerra” e passato alle cronache come autore, in Slovenia e Croazia, del proclama “Qui si ammazza troppo poco”.
17 I militari disarmati e catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre furono 1.007.000. Circa duecentomila riuscirono a scappare. Dei rimanenti 810.000 circa (di cui 58.000 catturati in Francia, 321.000 in Italia e 430.000 nei Balcani), oltre 13.000 persero la vita durante il brutale trasporto dalle isole greche alla terraferma; 94.000, tra cui la quasi totalità delle Camicie Nere della MVSN, decisero immediatamente di accettare l’offerta di passare con i tedeschi. Nei campi di concentramento tedeschi vennero dunque deportati circa 710 mila militari italiani con lo status di IMI (“Internati militari italiani”) e 20 mila con quello di prigionieri di guerra; 103 mila internati accettarono poi di prestare servizio per la Germania o per la RSI come combattenti o come lavoratori. Per saperne di più vedere su http://it.wikipedia.org/wiki/Internati_Militari_Italiani e www.storiaxxisecolo.it/internati/internati.htm
18 Le vittime della seconda guerra mondiale sono state 71 milioni; 22 milioni militari e più del doppio civili, 48 milioni.
Per l’Italia si veda il rapporto “Morti e dispersi per cause belliche negli anni 1940-45” fatto dall’Istituto centrale di statistica nel 1957:
– I morti militari sono stati 291.376, di cui 204.346 prima dell’armistizio (66.686 morti in battaglia o per ferite, 11.579 dispersi certificati morti e 26.081 morti per cause non belliche) e 87.030 dopo l’armistizio (42.916 morti in battaglia o per ferite, 19.840 dispersi certificati morti e 24.274 morti per cause non belliche).
– I morti per settore di servizio: esercito: 201.405, marina: 22.043, aviazione: 9.096, forze coloniali: 354 cappellani: 91, milizia fascista: 10.066, forze paramilitari: 3,252, non indicati: 45,078.
– Morti per teatro di operazioni: Italia: 74.725 (di cui 37.573 dopo l’armistizio), Francia: 2.060 (1.039 dopo l’armistizio), Germania: 25.430 (24.020 dopo l’armistizio), Grecia, Albania e Jugoslavia: 49.459 (10.090 dopo l’armistizio), Unione Sovietica: 82.079 (3.522 dopo l’armistizio), Africa: 22.431 (1.565 dopo l’armistizio), mare: 28.438 (5.526 dopo l’armistizio), altro: 6.844 (3.695 dopo l’armistizio).
– I morti civili sono stati 153.147 (123.119 dopo l’armistizio) inclusi 61.432 in attacchi aerei (42.613 dopo l’armistizio). Sono incluse le 64.000 vittime delle repressioni e genocidi nazisti (tra cui 30.000 prigionieri).
– I morti militari dopo l’armistizio includono 5.927 schierati con gli alleati, 17.166 partigiani e 13.000 della Repubblica Sociale.
19 Si ricordi che il generale Francesco Rossi era il vicecapo di stato maggiore dell’esercito.
20 Nel numero 4 della “Rivista militare“, luglio 1945.
11 settembre – Di più
– Alcuni lettori domandano se nella ricostruzione delle drammatiche giornate fra il 3 e il 9 l’autore non abbia dato troppa importanza alle vicende che hanno visto protagonisti il generale Caracciolo (comandante delle 5a armata) e l’ammiraglio Bergamini (comandante delle Forze navali da battaglia) insieme all’ammiraglio de Courten (ministro della marina e Capo di stato maggiore della marina), trascurando gli altri personaggi come Badoglio (Capo del governo), Ambrosio (Capo di stato maggiore generale) e Roatta (Capo di stato maggiore dell’esercito); e se, nella ricerca delle cause del disfacimento delle forze armate dopo l’armistizio, l’autore non abbia dato poco peso all’equivoco sulla data sconsideratamente prevista per l’annunzio dell’armistizio: il 12 invece dell’8.
Vero è che di questo si è parlato nelle varie giornate – il 3, il 6, l’8, il 9 e il 10 – ma comunque l’autore ha deciso di compilare una cronologia di questi giorni, facendo tesoro di un ricco saggio, accompagnato da una particolareggiata e fotografica documentazione, apparso, a firma di Francesco Mattesini, sui numeri di giugno e settembre 1993 del “Bollettino d’archivio“, periodico trimestrale dell’Ufficio storico della marina militare.
Ecco, qui sotto, questa specie di calendario, che mette in sconcertante evidenza la collezione di decisioni avventate o contraddittorie, di leggerezze, di sciocche furberie, di improvvisazioni, di pressappochismi, di insipienze, di incertezze, anche di atti di viltà, che hanno caratterizzato la dirigenza politico-militare di quei giorni e hanno portato al generale disastro che ha provocato tanti lutti e macerie.
Due avvertenze: alcuni messaggi e alcuni atti sono con evidenza dei tentativi più o meno accorti di depistaggio, intesi a ingannare i tedeschi, nella fallace convinzione che ci credessero; alcuni dati vengono da memorie e diari che sono stati scritti a distanza di anni dopo la fine della guerra e non sempre sono corrispondenti al vero; l’autore ha fatto il possibile per controllarli.
3 settembre, venerdì
– ore 17.15 . A Cassibile in Sicilia il generale Giuseppe Castellano, membro dello Stato maggiore dell’esercito, firma, come rappresentante del maresciallo Badoglio, il cosiddetto”armistizio corto”. E ‘ presente il generale Eisenhower.*
– ore 17.30. Al Viminale il capo del governo maresciallo Pietro Badoglio, insieme al Capo di stato maggiore generale, generale Vittorio Ambrosio, riunisce il ministro degli esteri Raffaele Guariglia e i ministri della guerra, della marina e dell’aeronautica (generale Antonio Sorice, ammiraglio Raffaele de Courten e generale Renato Sandalli) e li informa delle trattative di armistizio ,”da tenere assolutamente segrete”. Non dice che la firma è già avvenuta e non parla della prevedibile data di annuncio.
5 settembre, domenica
– 08.00. Il maggiore Luigi Marchesi, addetto allo Stato maggiore dell’esercito e persona di fiducia di Ambrosio, parte da Cassibile, dove ha assistito alla firma dell’armistizio, per tornare in aereo a Roma. Ha una borsa con: 1) una copia dell'”armistizio corto” (le clausole militari dell’armistizio) insieme alle condizioni aggiuntive del cosiddetto “memorandum di Quebec” (possibile addolcimento delle clausole in relazione al contributo dell’Italia nella guerra contro i tedeschi); 2) una copia dell'”armistizio lungo” (il testo completo dell’armistizio); 3) il promemoria Dick (le istruzioni del commodoro Royer M: Dick, Capo di stato maggiore del Comando navale alleato, per il trasferimento, dopo l’armistizio, delle navi da guerra italiane a Malta; 4) un promemoria del generale Harold Alexander, comandante in capo delle forze armate alleate, sui compiti richiesti agli italiani (mantenere il possesso della città di Roma, dei porti di Taranto, Brindisi, Bari, Napoli e dell’aeroporto di Foggia; tagliare la ritirata dei tedeschi dal sud; impedire la loro discesa dal nord); 5) le disposizioni per l’operazione “Giant 2”, cioè lo sbarco a Roma della 82a divisione americana aviotrasportata per l’occupazione della capitale in coordinamento con le forze italiane in coincidenza con l’annunzio dell’armistizio; 6) istruzioni sulle modalità e gli orari da rispettare nel pomeriggio di un non specificato giorno X per la contemporanea proclamazione dell’armistizio da parte di Eisenhower e di Badoglio.
Marchesi porta anche una lettera personale di Castellano con la supposizione che l’aviosbarco a Roma avverrà fra il 10 e il 15 settembre, forse il 12, contemporaneamente alla proclamazione dell’armistizio; quindi la supposizione che l’armistizio verrà annunciato in uno di quei giorni.
– mattina. Il generale Castellano viene portato ad Algeri come capo della missione militare italiana presso il Comando delle forze alleate nel Mediterraneo.
– pomeriggio. Il generale Ambrosio riceve i documenti partiti da Cassibile, li fa tradurre e li consegna a Badoglio. Sebbene Eisenhower non abbia indicato alcuna data, si accredita l’ipotesi che l’annunzio dell’armistizio avvenga il 12.
– sera. Ambrosio riunisce i tre ministri delle forze armate (Sorice, de Courten e Sandalli) e li informa delle condizioni generali di armistizio, ma non dà loro copia dei documenti. Tutti sono comunque invitati a mantenere il segreto.
6 settembre, lunedì
– mattina. Il generale Ambrosio informa il ministro della marina de Courten dell’intenzione del re di trasferirsi alla Maddalena in Sardegna con la famiglia e i capi militari, “qualora la situazione rendesse precario lo svolgimento delle funzioni di governo a Roma”.
– mattina. Il generale Ambrosio si consulta col generale Giacomo Carboni, Capo del Servizio informazioni militari (SIM) e comandante del Corpo motorizzato preposto alla difesa di Roma, e lo avverte di fare ascoltare le trasmissioni radio della Bbc: il giorno dell’armistizio sarà segnalato convenzionalmente con una trasmissione di musica verdiana e con una conversazione sull’attività nazista in Argentina; un terzo segnale il bombardamento aereo del quartier generale tedesco a Frascati (Oberbefehlhaber Süd, OBS).
– mattina. Il Comando supremo (così è anche chiamato lo Stato maggiore generale) riceve notizie di un grande raggruppamento di navi alleate a nord di Palermo.
– 12.00. Il Comando supremo invia ai Capi di stato maggiore delle tre forze armate, con l’indicazione di massima segretezza, un documento chiamato Promemoria n.1: eliminare le batterie contraeree tedesche, far fuoco contro aerei tedeschi, interrompere le comunicazioni telegrafoniche tedesche, catturare o affondare navi da guerra o mercantili tedesche, impadronirsi degli aeroporti tedeschi o misti, mantenere il possesso degli aeroporti italiani e altri ordini per contrastare le forze tedesche.**
– 18.00. La Ricognizione strategica tedesca segnala un eccezionale convoglio navale alleato in partenza dalla Tunisia.
– sera. Il ministro De Courten mette in allarme le forze navali e aeree di protezione e copertura in relazione all’avvistamento di concentramenti navali angloamericani nelle acque della Tunisia e della Sicilia.
– sera. Il ministro de Courten riceve dal generale Ambrosio una copia in inglese del così chiamato Memoriale Dick. De Courten non sa chi sia questo commodoro Dick e, ignorando che l’armistizio è stato già firmato, ritiene che il memoriale sia solo un documento connesso alle trattative che suppone siano ancora in corso. Ambrosio gli dice comunque che il Memoriale è da considerarsi “lettera morta”, perché egli chiederà agli Alleati che la flotta venga concentrata non a Malta ma alla Maddalena.
– sera. Ambrosio parte per Torino adducendo motivi personali.
– 22.00. La torpediniera “Ibis” salpa da Gaeta per incontrarsi a Ustica con una motosilurante inglese e per imbarcare il generale Maxwell D.Taylor e il colonnello William T. Gardiner, che devono concordare con lo Stato maggiore italiano lo sbarco a Roma della 82a divisione aviotrasportata americana, di cui sono comandante e vicecomandante.
– notte. Il ministro della marina De Courten trasmette un promemoria allo Stato maggiore generale, confermando l’opportunità che il grosso della flotta si trasferisca dalla Spezia e da Genova alla Maddalena invece che a Malta; suggerisce anche di proporre agli Alleati l’impiego delle tre corazzate italiane, con i propri equipaggi, nella guerra contro il Giappone nel Pacifico.
– notte. Lo Stato maggiore generale fa avere al generale Castellano ad Algeri un promemoria di richieste da presentare al Comando alleato: che lo sbarco angloamericano a Salerno preceda di due giorni l’aviosbarco a Roma (e quindi l’annunzio dell’armistizio); che un secondo grosso sbarco angloamericano avvenga a nord di Roma; che alla flotta italiana venga permesso di concentrarsi alla Maddalena e a Cagliari e non a Malta.
– notte. Il generale Ambrosio invia al generale Castellano un altro promemoria perché chieda ad Eisenhower di far “conoscere con 24 ore di anticipo il giorno X” , allo scopo di trasferire tempestivamente in Sardegna il re e il governo.
7 settembre, martedì
– mattina. Ad Algeri il generale Castellano presenta il promemoria di Ambrosio a Eisenhower, che respinge le controproposte: non c’è più tempo per cambiare i piani operativi. All’altra richiesta risponde (“scoppiando a ridere” scriverà Castellano) che non può aderire al preavviso di 24 ore.
– mattina. Dopo il colloquio con Eisenhower il generale Castellano telegrafa a Roma allo Stato maggiore generale: Eisenhower prega il re di “tenersi subito pronto a partire data assoluta imminenza operazioni”; e poi “il giorno X sarà reso noto prima di mezzogiorno”.
– mattina. Il telegramma di Castellano genera perplessità al Comando supremo: l’impossibilità di dare un preavviso di 24 ore potrebbe significare che la proclamazione dell’armistizio è stata fissata prima di 24 ore, cioè domani 8; e comunque l’invito di Eisenhower a preparare d’urgenza la partenza del re non si concilia con la previsione che l’armistizio venga proclamato il 12, cioè fra cinque giorni. Il generale Francesco Rossi, sottocapo dello Stato maggiore generale telefona al suo capo, il generale Ambrosio, perché da Torino, dove si trova da ieri, torni subito a Roma.
– mattina. Il ministro della marina de Courten informa il maresciallo Kesselring che la flotta italiana da battaglia dislocata nell’alto Tirreno salperà domani o nella mattinata del 9 per intervenire contro il “nemico” segnalato in movimento verso il golfo di Salerno.
– 10.00. Il ministro de Courten riceve l’ammiraglio Bergamini, al quale chiede assicurazioni che la flotta sia pronta ad uscire “per combattere nelle acque del Tirreno la sua ultima battaglia”. Bergamini garantisce la decisione della flotta di “combattere fino all’estremo delle possibilità” e conferma la buona collaborazione con l’aeronautica tedesca.
– 12.00. La ricognizione aerea tedesca segnala un convoglio costituito da 35 navi da trasporto, sei petroliere, nove vedette e quattro mezzi da sbarco in uscita dal porto tunisino di Biserta insieme ad altre sette navi da sbarco per carri armati.
– 12.40. Il Comando supremo invia un messaggio “riservato personale” ai Capi di stato maggiore dell’esercito, della marina e dell’aeronautica e per conoscenza al Comando tedesco a Frascati (Kesselring) per informarli che la presenza di grossi convogli a nord di Palermo e al largo della Tunisia fa prevedere un imminente sbarco in Italia centromeridionale; quindi: “Siano prese conseguenti misure”.
– 13.00. Il ministro de Courten dà istruzioni per predisporre il trasferimento del re e del “suo seguito” alla Maddalena.
– 16. 00. Il ministro de Courten riunisce gli ammiragli comandanti delle squadre navali, fra cui l’ammiraglio Bergamini,capo delle forze navali da battaglia, per orientarli sulla situazione. Non dà notizia delle trattative in corso per l’armistizio, “non avendo ricevuto al riguardo che notizie generiche sotto vincolo del segreto”; non dà copia del Promemoria n.1 del Comando supremo; non consegna ordini scritti; non parla del Memoriale Dick; prospetta un possibile colpo di mano tedesco per riportare il fascismo al potere.
Del Promemoria n.1 l’ammiraglio Sansonetti, vice di Bergamini, dà un sunto molto sintetico dei contenuti, autorizzando i presenti a prendere appunti nei propri taccuini. Al momento opportuno arriverà loro l’ordine “Attuare misure ordine pubblico Promemoria n.1”. Per motivi di segretezza nessuna di queste informazioni e nessuna comunicazione sulla gravità del momento viene trasmessa agli ammiragli imbarcati e non presenti alla riunione.
La riunione termina alle 19 e all’ammiraglio Brivonesi, che vuole partire subito per il suo posto di comando a Taranto, Bergamini dice che non è necessario e che può partire la mattina dopo, prima delle 8.
– 21.00. A palazzo Caprara a Roma, sede del ministero della guerra, arrivano in autoambulanza militare da Gaeta, dove sono sbarcati dalla torpediniera “Ibis”, il generale Maxwell D. Taylor e il colonnello William T. Gardiner, comandante e vicecomandante della 82a divisione aviotrasportata americana. Devono controllare i modi del piano di aviosbarco (“Giant Two”) illustrato a Cassibile il 3 e il 4 scorsi dal generale Eisenhower e dai suoi aiutanti al generale Castellano. Lo sbarco dovrà avvenire – in concomitanza con l’annunzio dell’armistizio – a nord di Roma verso il mare e negli aeroporti intorno a Roma. A palazzo Caprara non c’è il generale Ambrosio, Capo di stato maggiore generale, che è a Torino, e non c’è neppure il generale Roatta, Capo di stato maggiore dell’esercito. Taylor e Gardiner sono ricevuti dal maggiore Marchesi, aiutante di Ambrosio, che li accompagna in una sala dove è imbandita una cena.
– 21.30. Lo Stato maggiore della marina avverte gli Stati maggiori dell’esercito e dell’aeronautica e il Comando tedesco a Frascati che il convoglio avvistato nel Tirreno fa prevedere uno sbarco sulle coste campane nella notte fra l’8 e il 9.
– 22.00. A palazzo Caprara arriva il generale Mario Carboni, comandante del Corpo motorizzato di stanza a Roma, che dovrebbe guidare da parte italiana l’operazione di aviosbarco. È a lui che il generale Taylor annunzia che il giorno X è domani 8: proclamazione dell’armistizio alle 18.30, aviosbarco a Roma, inizio, poche ore dopo, dello sbarco a Salerno. Carboni risponde che così presto non è in condizioni di dare all’operazione Giant Two l’aiuto tattico e logistico richiesto e chiede quindi che l’aviosbarco venga rinviato e così anche la proclamazione dell’armistizio. Carboni dice infatti di avere ricevuto informazioni (che si dimostreranno ampiamente sbagliate), secondo le quali le forze tedesche intorno a Roma sarebbero molto superiori, per numero e per armamento, a quelle italiane. Disorientato, il generale Taylor chiede di parlare col capo del governo Badoglio.
– notte. Lo Stato maggiore della marina, prevedendo imminente lo sbarco alleato a Salerno e sapendolo legato alla proclamazione dell’armistizio, conferma gli ordini per l’invio di due torpediniere a Civitavecchia per il trasferimento del re e del suo seguito in Sardegna.
– notte. Il ministro della marina de Courten (così scriverà nelle sue memorie) avverte i Comandi delle forze navali (in Italia, Sardegna, Corsica, Dalmazia, Albania, Egeo) di predisporre un eventuale autoaffondamento delle navi in seguito a un segnale convenzionale (“Raccomando massimo riserbo”).
8 settembre, mercoledì
– 00.30. L’ufficio di collegamento della marina tedesca in Italia comunica allo Stato maggiore della marina italiana che il convoglio navale alleato è all’altezza di Ustica.
– 01.00. Taylor, Gardiner e Carboni si recano nella villa del maresciallo in via Bruxelles col tenente Raimondo Lanza come interprete. Badoglio sta dormendo, Carboni lo fa svegliare, lo mette al corrente degli ultimi eventi e gli consiglia di vestirsi e di non presentarsi in vestaglia, come intendeva fare, per parlare con i due inviati americani. Dopo un’ora di discussioni si decide di inviare un messaggio firmato Badoglio al generale Castellano a Tunisi perché lo consegni ad Eisenhower: è necessario rinviare l’operazione Giant Two e quindi anche la proclamazione dell’armistizio. Un messaggio è inviato ad Eisenhower anche dal generale Taylor perché venga annullata l’operazione Giant Two.***
– 09.30. Lo Stato maggiore della marina informa il Comando supremo, lo Stato maggiore dell’aeronautica e il Comando dell’aeronautica tedesca che la flotta angloamericana di sbarco si sta avvicinando alla costa salernitana.
– 10.00. Lo Stato maggiore della marina invia al Comando della flotta da battaglia alla Spezia l’ordine di “approntamento in due ore” della flotta.
– mattina. Il ministro della marina de Courten invia il capitano di fregata Virginio Rusca al Park hotel di Frascati , sede dell’OBS, per concordare le norma d’impiego della scorta aerea tedesca da assegnare come protezione della flotta italiana in procinto di partire dalla Spezia e da Genova per contrastare lo sbarco angloamericano a Salerno.
– 12.00. Partito la sera del 6, il generale Ambrosio rientra a Roma da Torino; in treno – dice – perché non ha trovato un aereo disponibile. Non si è incontrato e non si incontrerà col generale Taylor.
– 12.00. Centotrenta “fortezze volanti” bombardano Frascati, sede del Quartier generale del maresciallo Kesseling, che riesce a scampare al diluvio di 400 tonnellate di bombe.
– 12.30. Il generale Castellano ha ricevuto il messaggio di Badoglio (partito da Roma con molte ore di ritardo) e risponde che il proposto rinvio dell’annunzio dell’armistizio verrebbe considerato da Eisenhower una grave mancanza nel mantenere gli impegni e avrebbe conseguenze disastrose per l’avvenire dell’Italia.
– 13.00. Rientrato da Roma alla Spezia, l’ammiraglio Bergamini si reca sulla corazzata Roma, dove è stato trasferito il Comando della flotta, e viene informato dell’ordine trasmesso alle 10 dallo Stato maggiore della marina..
– 13.30. L’ammiraglio Bergamini telefona su linea criptata allo Stato maggiore della marina per avere chiarimenti sull’ordine, trasmesso al suo Comando, di “approntamento in due ore”. Il sottocapo ammiraglio Sansonetti gli spiega, sempre per telefono criptato, che l’ordine di essere pronti in due ore è stato dato in relazione all’avvistamento in prossimità delle coste salernitane della flotta angloamericana di sbarco; aggiunge che è confermata la protezione aerea di venti aerei tedeschi e dieci italiani. Sansonetti aggiunge ancora: al segnale convenzionale “Raccomando massimo riserbo” ordinare a tutte le navi di uscire in mare e di autoaffondarsi in alti fondali.
– pomeriggio. Il Comando supremo decide di inviare in aereo ad Eisenhower a Tunisi il generale Rossi, sottocapo di stato maggiore generale, con un messaggio di Badoglio in cui si chiede che l’annunzio dell’armistizio avvenga in concomitanza con un secondo sbarco alleato “il più vicino possibile a Roma” o almeno nelle coste di Gaeta, Formia, Terracina. Insieme al generale Rossi parte anche il generale Taylor. Il generale Rossi sarà ricevuto alle 19 da Eisenhower, che definirà, oltre che superate nel tempo, assurde e irreali le richieste, che avrebbero comportato uno sforzo di mezzi navali ormai tutti impegnati nello sbarco a Salerno.
– 16.20. Lo Stato maggiore della marina ordina la partenza da Genova e dalla Spezia dei cacciatorpediniere Vivaldi e Da Noli, fissandone l’arrivo a Civitavecchia alle 8.00 di domani 9. Lo scopo della missione è di imbarcare il re e il suo seguito, compresi i massimi capi militari, e portarli all’isola della Maddalena.
– 16.45. Al Comando supremo arriva un telegramma ultimatum di Eisenhower in risposta al messaggio di Badoglio: “Intendo trasmettere alla radio l’accettazione dell’armistizio all’ora già fissata… Avete intorno a Roma truppe sufficienti per assicurare la momentanea sicurezza della città, ma io richiedo esaurienti informazioni secondo le quali disporre al più presto per l’operazione aviotrasportata… I piani sono stati fatti nella convinzione che voi agivate in buona fede… Ogni mancanza ora da parte vostra nell’adempiere a tutti gli obblighi dell’accordo firmato avrà le più gravi conseguenze per il vostro paese. Nessuna vostra futura azione potrebbe più ridarci alcuna fiducia nella vostra buonafede e ne conseguirebbe di conseguenza la dissoluzione del vostro governo e della vostra nazione”.
– 17.00. Radio Londra trasmette, con un comunicato della Reuter, la notizia che il governo italiano ha firmato l’armistizio.
– 17.50. A Monterotondo, sede del Comando dello Stato maggiore dell’esercito, il generale Roatta è informato della notizia trasmessa dall’agenzia Reuter mentre si trova a colloquio con il generale Rudolf Toussaint, nuovo addetto militare germanico a Roma. Roatta dice che si tratta di una “sfacciata menzogna della propaganda inglese”. Lo stesso dichiara all’incaricato d’affari tedesco Rudolf von Rahn che gli telefona per avere chiarimenti. Dopo avere appreso del comunicato di Eisenhower delle 18.30 telefonerà a Toussaint, rientrato a Roma, per scusarsi; “Vi do la mia parola d’onore che mezz’ora fa, quando ho detto che la notizia dell’armistizio era falsa, ignoravo totalmente che essa invece fosse vera”. Toussaint non risponderà e abbasserà la cornetta del telefono: subito dopo il SIM intercetterà una sua comunicazione telefonica a Berlino: “La parola d’onore di Roatta era una parola d’onore italiana”.
– 18.10. Il Comando alleato sospende l’imbarco della 82a divisione aviotrasportata americana su 135 aerei da trasporto pronti negli aeroporti della Sicilia e richiama 62 aerei, con a bordo i paracadutisti, che erano già in volo per l’operazione Giant Two e per lo sbarco su Roma.
– 18.15. Al Quirinale si riunisce quello che verrà chiamato Consiglio della corona. Oltre al re, dieci i presenti: Badoglio, Guariglia (ministro degli esteri), Ambrosio, il duca Acquarone (Ministro della Real casa), Sorice, Sandalli, de Courten, Carboni, De Stefanis (vicecapo dello Stato maggiore dell’esercito, al posto di Roatta), il maggiore Marchesi (aiutante di Ambrosio). Il tema è l’armistizio annunziato quattro giorni prima della data a torto o a ragione prevista per il 12; ipotesi che è stata ritenuta valida anche dopo uno dei segnali convenuti di preavviso (il bombardamento di Frascati) e dopo la matematica previsione dello sbarco angloamericano a Salerno nella notte dall’8 al 9. Qualcuno propone di respingere l’armistizio, sconfessando Castellano che l’ha firmato il 3 a Cassibile. Tutti, escluso Ambrosio, criticano Badoglio per avere condotto le trattative tenendo gli altri all’oscuro. Sette su undici dicono di avere saputo solo ora della firma dell’armistizio cinque giorni fa.***
– 18.30. Da radio Algeri: “Qui il generale Dwight Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate. Le forze armate italiane si sono arrese incondizionatamente, Come comandante in capo alleato io ho accordato un armistizio militare i cui termini sono stati approvati dai governi del Regno Unito e dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche. In questo modo ho agito nell’interesse delle Nazioni Unite. Il governo italiano ha accettato questi termini senza riserve. L’armistizio è stato firmato da un mio rappresentante e da un rappresentante del maresciallo Badoglio e diviene effettivo da questo istante. Le ostilità tra le forze armate delle Nazioni Unite e quelle dell’Italia sono adesso terminate. Tutti gli italiani che col nuovo accordo aiuteranno a cacciare l’aggressore tedesco fuori dal suolo italiano avranno l’assistenza e l’aiuto delle Nazioni Unite”.***
– 18.45. Al Consiglio della corona al Quirinale il maggiore Marchesi interrompe la discussione per leggere il comunicato letto poco prima da Eisenhower alla radio di Algeri. Continua il dibattito favorevole a rimettere in discussione l’armistizio; a un certo punto Marchesi legge il telegramma di Eisenhower delle 16.45 in risposta al telegramma di Badoglio ( “Nessuna vostra futura azione potrebbe più ridarci alcuna fiducia nella vostra buonafede e ne conseguirebbe di conseguenza la dissoluzione del vostro governo e della vostra nazione”). “Ora sappiamo” dice il re. La seduta è chiusa. L’armistizio è accettato. Badoglio si appresta a scrivere il comunicato e a recarsi all’Eiar per leggerlo alla radio.
– 19.15. Su incarico del generale Silvio Rossi, Capo dell’Ufficio operazioni dello Stato maggiore generale, il tenente colonnello Dogliani si reca a Frascati per comunicare a voce al maresciallo Kesselring la conclusione dell’armistizio. A Frascati la notizia era già conosciuta e Kesselring risponde: “La comunicazione non mi sorprende. Non so che cosa ci riserverà l’avvenire a noi e a voi. Avrei però preferito, come soldato, una maggiore lealtà”.
– 19.30. Badoglio telegrafa a Eisenhower per spiegare che il suo mancato annuncio dell’armistizio all’ora fissata (18.30) dipende dal ritardo con cui è arrivato (alle 16.45) il suo telegramma e dall’assenza di due dei tre segnali convenzionali che dovevano avvertire del giorno X; il servizio sull’attività nazista in Argentina (in realtà non trasmesso dalla Bbc) e un programma di musica di Verdi (in realtà trasmesso, ascoltato dal Servizio informazioni, ma non comunicato da Carboni al Comando supremo). Il terzo avvertimento convenzionale era il bombardamento di Frascati, avvenuto alle 12.
– 19.42. Dopo avere atteso nella sede dell’Eiar una quarantina di minuti per aspettare l’orario abituale del giornale radio, il maresciallo Badoglio legge alla radio: “Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza alleata, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower eccetera…”.***
– 20.30. Il ministro de Courten telefona all’ammiraglio Bergamini: contrariamente a quanto ordinato alle 13.30 (autoaffondamento delle navi al segnale convenuto) l’ordine del governo e del re è ora di trasferire le navi a Malta. Bergamini si dichiara sdegnato di non essere stato messo al corrente della situazione il giorno prima, quando ha parlato proprio col ministro, e chiede di essere esonerato dal comando in capo della flotta. De Courten spiega che “questo era il segreto imposto da Badoglio” e insiste: l’ordine di salpare per Malta è un ordine del re.
– 21.30. Il ministro della marina de Courten visita il grande ammiraglio Pietro Thaon de Revel per consultarsi sull’opportunità di dirigere le navi in porti alleati come prescrive il Memoriale Dick. Thaon de Revel consiglia di “obbedire lealmente” agli ordini di “Sua Maestà”.
– 22.00. I paracadutisti tedeschi della 2a divisione, provenienti da Pratica di Mare, occupano Ostia e Fiumicino. Badoglio ritiene quindi impossibile la navigazione nel Tevere dei motoscafi che devono poi trasportare il re e il suo seguito via mare fino a Civitavecchia per il previsto trasferimento in Sardegna con i cacciatorpediniere “Vivaldi” e “Da Noli”.
– 23.00. L’ammiraglio Bergamini telefona al ministro de Courten per assicurarlo che dirigerà la flotta da battaglia verso Malta “in obbedienza agli ordini del re”.
– 23.00. Il generale Roatta chiede al generale Ambrosio di essere autorizzato a far partire il previsto e già pronto fonogramma ai Comandi di armata per l’attuazione della Memoria 44 op. Dopo essersi consultato con Badoglio, Ambrosio nega l’autorizzazione.***
9 settembre, giovedì
– 00.45. Avendo appreso le pressanti richieste dei Comandi interessati, il generale Roatta ordina la trasmissione del fonogramma di attuazione della Memoria 44 op, ma con un testo diverso da quello stabilito che Badoglio ha voluto che non fosse inviato. Il nuovo testo, trasmesso, fra le 0.50 e l’1.35, dice: “Ad atti di forza reagire con atti di forza”.***
– 01.10. Il Comando del Corpo d’armata motorizzato del generale Carboni chiede al Comando di stato maggiore dell’esercito l’autorizzazione a rispondere al fuoco dei reparti tedeschi che hanno circondato le batterie costiere di Ostia. Il generale Roatta dà un primo assenso, ma subito dopo lo ritira.
– 03.15. La flotta da battaglia comincia a uscire dal porto della Spezia per dirigersi verso il porto di Bona in Algeria; domani alle 9.30 sarà intercettata da una formazione navale che la scorterà fino a Malta.
– 03.30. Comincia l’operazione “Avalanche”. Sono 450 navi da guerra, tra cui quattro corazzate e sette portaerei, con centomila soldati inglesi e settantamila americani che sbarcheranno nella Piana del Sele, a sud di Salerno.****
– 04.00. Il generale Ambrosio telefona ai tre ministri militari (Sorice, Sandalli e de Courten) e li invita, a nome del re, a partire immediatamente per Pescara, per trasferirsi al Sud insieme al re, al principe Umberto, a lui Ambrosio e a Roatta.
– 04.30. Il ministro della marina de Courten ordina che le corvette “Baionetta”, che è a Pola, e “Scimitarra”, che è a Brindisi, e l’incrociatore “Scipione”, che è a Taranto, arrivino prima possibile nel porto di Pescara.
– 04.50. Da palazzo Vidoni, sede del Comando supremo, dove hanno passato la notte, non ritenendo sicuro il Quirinale, il re, la regina, il principe Umberto lasciano Roma per recarsi a Pescara. Su suggerimento di Roatta, intendono dirigersi in un porto del Sud libero dai tedeschi e ancora non occupato dagli angloamericani.
– 05.00. Prima di partire da Roma per seguire il re (così è scritto in AUSE, Stato Maggiore Generale Ufficio Operazioni 20 settembre 1944, “Ordini emanati dalle Supreme Autorità Militari in relazione alla conclusione dell’Armistizio con le Nazioni Unite”, Difesa di Roma, Raccoglitore n. 2997/A, cartella n. 2) il generale Ambrosio, su suggerimento del generale Roatta, decide di non difendere Roma, “affinché non sia compiuto nessun atto ostile contro i tedeschi” e addirittura si oppone alla proposta avanzata dal Capo Ufficio Telecomunicazioni del Comando Supremo “di interrompere le comunicazioni a filo con la Germania”, perché ciò può significare “un aperto atto di ostilità”. Anche l’ammiraglio de Courten non ritiene “opportuno mettere subito in funzione il Promemoria n. 1 del Comando Supremo” (che poi verrà diramato alle ore 07.15), “per evitare iniziative ostili contro i tedeschi”.
Note:
* Si veda la giornata del 3 settembre
** Si veda la giornata del 6 settembre
*** Si veda la giornata dell’8 settembre
**** Si veda la giornata del 9 settembre
Lunghi e documentati saggi su “Come si arrivò all’8 settembre” sono in http://piombino-storia.blogspot.com
– Nelle sue Memorie (“Le memorie dell’ammiraglio de Courten (1943-1946)”, Roma, Ufficio storico della marina militare, 1993), così de Courten racconta i suoi incontri con l’ammiraglio Bergamini. La mattina del 7 alle ore 10.00: “Ebbi da lui assicurazione che la flotta era pronta a uscire per combattere l’ultima battaglia. Comandanti e ufficiali erano consapevoli della realtà cui andavano incontro, ma che in tutti era fermissima la volontà di combattere fino all’estremo delle possibilità. Gli equipaggi erano pieni di fede ed entusiasmo. Egli confermava che, intervenendo a operazione di sbarco appena iniziata e traendo profitto dall’inevitabile crisi di quella delicata fase, sarebbe stato possibile infliggere al nemico gravi danni. Ricordo con commozione questo colloquio perché dalle parole di quest’uomo, vissuto sempre sulle navi e per le navi, emanava – senza alcuna iattanza – la sicurezza di poter chiedere alla potente organizzazione nelle sue mani il sacrificio totale:
La sera dell’8 alle 20.30: “L’ammiraglio Bergamini esternò vivacemente la sua indignazione per non essere stato informato né il 7 a Roma, né l’8 alle 13.30 dell’avvenuto armistizio. Considerava, questo atteggiamento, una grave mancanza di fiducia nei suoi riguardi. Rassegnava le dimissioni. Comunicò che le sue decisioni, quelle del suo stato maggiore e, riteneva, anche quelle dei suoi ammiragli e comandanti erano di autoaffondare le navi. De Courten comprese la reazione di Bergamini , che era più che giustificata da parte di chi non era a conoscenza dei fatti che lo toccavano invece direttamente. Gli esposi l’andamento della riunione svoltasi presso il Sovrano che si era chiusa con il suo ordine di eseguire fedelmente le dure clausole armistiziali; gli accennai dell’incontro avuto con il capo di stato maggiore generale e dell’esistenza di un documento (il Memorandum di Quebec) dal quale risultava essere questa la via per dare possibilità di vita e di ripresa al popolo italiano . Erano queste le considerazioni che mi inducevano a ritenere necessaria la leale esecuzione delle clausole armistiziali. Gli accennai pure che l’armistizio prevedeva il trasferimento della flotta in zone controllate dagli anglo-americani oltre Bona (Capo Bon, Algeria) con misure di sicurezza, ma con il rispetto dell’onore militare; gli dissi di prepararsi a partire per La Maddalena dove gli avrei fatto trovare il testo esatto delle clausole armistiziali nonché le istruzioni per gli ulteriori movimenti. Con quella prontezza di percezione e decisione, che gli erano caratteristiche, mi rispose che comprendeva l’intimo significato e il profondo valore di quanto gli avevo esposto. Egli mi assicurò che entro breve termine mi avrebbe riferito sulla riunione da lui convocata, affermando che avrebbe svolto la propria opera per convincere tutti sulla necessità di attenersi agli ordini del Sovrano”.
Quando, nel cosiddetto Consiglio della corona del pomeriggio dell’8, il re e Badoglio ritennero di lasciare Roma, una prima idea fu di trasferirsi in aereo in Sardegna. Ma la regina – si disse – soffriva di aereo e poi non c’era la certezza che la Sardegna fosse in mano italiana; perciò la decisione fu di andare a Pescara e qui imbarcarsi per il Sud. Nelle sue Memorie l’ammiraglio de Courten racconta che nel pomeriggio del 9, all’aeroporto di Pescara, in attesa che il “Baionetta” arrivasse in porto (e invece arrivò a Ortona), qualcuno propose di trasferirsi in aereo a Palermo: “Non mi sfugge che la partenza da Roma e il tentativo di mantenere in vita un embrione di direzione autonoma dello stato possono avere un significato e una giustificazione, purché lo spostamento si arresti in un lembo di terra libera, non ancora occupato dagli angloamericani; ma che il trasferimento in località che gli Alleati hanno conquistato durante la guerra e nella quale è già instaurata la loro autorità politica e militare costituisca un gravissimo errore. Dopo aver riflettuto mi presento al principe di Piemonte e gli dico: Altezza reale, è mia opinione che il recarsi in Sicilia sarebbe una decisione sotto ogni punto di vista deplorevole e, secondo ogni verosimiglianza, esiziale per l’esistenza stessa della monarchia; prego Vostra Altezza di voler comunicare il mio pensiero a Sua Maestà, informandolo che in tale eventualità io non lo seguirò a Palermo, ma farò ritorno a Roma, quali che ne siano le conseguenze”.
Queste parole di de Courten (scritte quattro o cinque anni dopo la fine della guerra) fanno pensare che, come molti sostengono, la decisione del re e di Badoglio di lasciare Roma ebbe varie motivazioni, ma probabilmente non quella, che in parte giustificherebbe la fuga, di garantire un continuità istituzionale della stato italiano e la possibilità di offrire un interlocutore alle potenze vincenti.
Ma di chi è stata la responsabilità di lasciare Roma? Del re, di Badoglio, di chi altri? Sempre nelle sue Memorie l’ammiraglio de Courten scrive: “Alle 04.00 del 9 settembre il Capo di Stato Maggiore Generale (Ambrosio) mi comunicò telefonicamente che, in considerazione della situazione militare creatasi intorno a Roma, dove grossi reparti tedeschi stavano dirigendo verso la capitale, Sua Maestà il Re aveva stabilito di partire immediatamente per Pescara, dando l’ordine che i Capi di Stato Maggiore lo raggiungessero al più presto colà. In conseguenza dovevo partire entro il più breve termine di tempo per Pescara. Feci presente che ritenevo la mia presenza necessaria a Roma per perfezionare l’emanazione degli ordini relativi all’applicazione dell’armistizio. Il Capo di Stato Maggiore Generale mi confermò l’ordine esplicito di Sua Maestà, dicendomi di lasciare agli Organi di comando centrali il compito di emanare ordini ancora necessari.
“Convocai immediatamente presso di me il Sottocapo di Stato maggiore, il Segretario generale e il Capo gabinetto (rispettivamente ammiragli Sansonetti e Ferreri e il capitano di vascello Aliprandi) che pernottavano al Ministero; diedi ordine al primo di assumere la direzione dello Stato maggiore ed al secondo quella del ministero, con la direttiva di applicare integralmente le clausole di armistizio e di mantenere integre e compatte le rispettive organizzazioni. Feci ordinare che l’incrociatore leggero “Scipione” da Taranto, una corvetta da Brindisi ed una corvetta da Pola partissero al più presto, convergendo alla massima velocità per Pescara, dove avrei impartito loro dirette disposizioni. Alle 06.30 partii da Roma per raggiungere Sua Maestà il Re”.
– Un lungo racconto sui rapporti fra lo Stato maggiore della marina (ammiraglio de Courten) e l’ammiraglio Bergamini dal 3 al 9 settembre è sul sito di Pagine di Difesa
– Franco Arbitrio segnala l’impietoso comunicato ufficiale emesso dal governo tedesco il 14 settembre e trasmesso all’agenzia Stefani, già sotto il controllo delle autorità germaniche:
“Berlino, 13 – Il ministro degli esteri del Reich comunica:
“1) Il 1 settembre 1943 ebbe luogo un colloquio tra il ministro degli affari esteri, Guariglia, e l’incaricato d’affari germanico ministro plenipotenziario dott. Rahn. Il rappresentante germanico comunicava telegraficamente lo stesso giorno quanto segue: ‘Durante il mio colloquio odierno Guariglia dichiarò: il governo Badoglio è deciso a non capitolare e di continuare la guerra al fianco della Germania. Metterò tutta la mia energia a disposizione per realizzare questa decisione che condurrà ad una collaborazione militare sempre più stretta e conseguente’.
“2) Il 3 settembre, il rappresentante della Germania comunicava quanto segue: il maresciallo Badoglio mi pregò oggi di andare da lui, e mi dichiarava che, dati gli sbarchi in Calabria, teneva a rassicurarmi che popolo ed esercito, nonostante le scosse degli ultimi giorni, erano in mano ferma del governo. Egli mi pregò di dargli la mia fiducia. Aggiunse testualmente: ‘Io sono il maresciallo Badoglio ed io vi convincerò con i fatti che non era giusto non avere fiducia in me. Naturalmente la nostalgia di pace del popolo, anzitutto delle donne, è grande. Ma noi combatteremo e non capitoleremo mai’. Le parole anzidette vennero pronunciate dal maresciallo Badoglio il 3 settembre, cioè il giorno nel quale egli firmava la capitolazione delle Forze Armate italiane.
“3) Il 4 settembre l’incaricato di affari germanico ebbe un colloquio con il comandante superiore delle Forze Armate italiane generale Ambrosio. Il rappresentante della Germania comunicava in proposito: ‘Il Generale Ambrosio si è lamentato che da parte tedesca non gli venga più espressa la fiducia che corrisponderebbe al cameratismo italo-tedesco. Il generale Ambrosio affermava che egli è sempre animato dalla volontà ferma e sincera di continuare la guerra comune. Mi pregava di impiegare la mia influenza presso le autorità germaniche, perché avvenisse uno scambio di idee amichevoli più intenso. Il comportamento del tutto straordinario di Ambrosio mi dava l’impressione che egli cercasse di convincermi che era deciso di continuare la guerra comune.
“4) L’8 settembre il rappresentante della Germania, ministro plenipotenziario dott. Rahn, venne ricevuto dal Re Vittorio Emanuele, onde presentare le sue credenziali. Il comunicato telegrafico del Ministro plenipotenziario così si esprimeva: ‘Durante la mia visita odierna, il re Vittorio Emanuele mi parlava anzitutto della situazione generale militare. Egli segue attentamente i combattimenti al fronte orientale, ammira lo spirito delle truppe tedesche, la loro tradizione militare, organizzazione e armamento che purtroppo l’esercito italiano non ha mai raggiunto. Per quanto riguarda la situazione in Italia, egli sperava che il governo del Reich si sarebbe convinto nel frattempo della buona volontà e della fedeltà del governo Badoglio e dell’esercito Italiano e che la fiduciosa collaborazione militare avrebbe dato i suoi frutti. L’Italia non capitolerà mai. Quanto ad alcune mende che sono rimaste, egli è convinto che presto spariranno. Badoglio è un bravo, vecchio soldato, a cui riuscirà certamente di arrestare come si deve la pressione delle sinistre, le quali dopo venti anni di esclusione dalla vita nazionale, credono venuta di nuovo la loro era. Al termine della conversazione, il re sottolineò di nuovo la decisione di continuare fino alla fine la lotta a fianco della Germania, con la quale l’Italia è legata per la vita e per la morte. Queste dichiarazioni fatte dal re l’8 settembre a mezzogiorno, cioè lo stesso giorno nel cui pomeriggio gli americani rendevano nota la capitolazione dell’esercito italiano conclusa il 3 settembre.
“5) L’8 settembre sera, poco dopo le ore 19, il ministro degli affari esteri Guariglia chiamava l’incaricato di affari germanico, il quale dava il seguente rapporto sul colloquio: ‘Il ministro degli affari esteri Guariglia mi riceveva oggi e mi comunicava in presenza dell’ambasciatore Rosso: ‘Devo comunicarvi che il maresciallo Badoglio, data la situazione militare disperata, è stato costretto a chiedere l’armistizio’. Io risposi: ‘Questo è tradimento alla parola data’. Guariglia ribatte: ‘Protesto contro la parola tradimento’. Io: ‘Non do la colpa al popolo italiano, ma a quelli che hanno tradito il suo onore, e vi dico che questo tradimento sarà di grave peso sulla storia d’Italia’”.
– Il generale Caracciolo ci ha detto, dal suo ufficio di comandante della 5a armata in via dei Serragli, che cosa è successo a Firenze l’11 settembre. Ecco il racconto di quel giorno e dei giorni seguenti, fatto da una veneziana di 43 anni, che ha il fidanzato militare nei Balcani. Le pagine del diario sono fra le tante raccolte da Patrizia Gabrielli, docente di storia contemporanea nell’università di Siena, in “Scenari di guerra, parole di donne”, pubblicato dal Mulino nel 2007.
Sabato, 11 settembre 1943, ore 16
Come sempre accade quando gli avvenimenti assumono una certa tragicità, tutti siamo oltremodo impressionati; anche l’Ada ha dovuto ricredersi della fugace gioia del primo momento e convenire che è peggiore il rimedio del male. Già da ieri correvano le voci che auto colonne tedesche erano in marcia verso Firenze, ci illudevamo che al momento dell’invasione ci avrebbero avvertiti per darci tempo di rifugiarci nelle nostre case, ma sempre pensiamo cose che non accadano mai: i Tedeschi sono entrati calmi e tranquilli e hanno preso possesso della città senza che nulla sia avvenuto, forse è meglio così!
Certo è stato impressionante lo stesso, qua in centro non ne sapevano niente, verso le 11 di questa mattina mia sorella mi ha telefonato dicendomi di andare subito a casa perché i Tedeschi erano in piazza San Marco al Comando. Non lo nego, un certo tuffo al cuore l’ho avuto, anche perché, consapevole dei conflitti avvenuti nelle altre città, mi aspettavo qualcosa di simile anche a Firenze. Ma i Fiorentini sono dei buoni, poveri diavolacci e prendono tutto con filosofia.
Abbiamo chiuso in fretta, per evitare maggiori emozioni ho preso un tram che mi portasse vicino a casa senza passare da piazza San Marco, in questo primo momento abbiamo paura di loro e forse la paura non è infondata.
E lui?? Ecco il pensiero assillante, penoso che non mi lascia mai. Che accadrà laggiù? Ho continuato a scrivere in questi giorni con una infinitesima speranza che qualcosa possa arrivare ma capisco che sono vane illusioni.
In questi momenti emozionanti ho pensiero per tutto: la casa, la mamma così vecchia e sofferente che avrebbe bisogno di calma e di riposo, cerco di aiutare in quello che posso.
E lui?? Tornerà come tanti? Troppo lontano! Troppa strada da fare, ma in fondo al mio cuore permane questa grande speranza. Che avverrà ora?
Domenica, 12 settembre 1943, ore 12
Ho veduto per la prima volta i Tedeschi, non come ne avevo veduti tanti fino ad ora, ma nella loro esecrabile parte di invasori e padroni, capisco che si possono odiare, o traditi o no, che questo non ce lo dice nessuno perché la verità chissà dov’è, sono nemici, che hanno preso possesso della nostra bella città.
E qui è tutto calmo, da altre città giungono notizie di veri e propri combattimenti. Per la mia anima patriottica questo sarebbe andato bene anche per Firenze, ma forse è meglio così. Questa mattina sono venuta a dare un’occhiata alla mia ditta. Non so stare se ogni giorno non passo almeno un’ora qui: sono in pensiero, non per il lavoro che non c’è, oggi basta tirare avanti, ma per tutto quello che di tragico c’è in aria.
Ho messo un lucchetto alla porta, fa poco ma io sono più tranquilla.
È una giornata magnifica, è vero che nel venire a piedi per non passare dal centro sono caduta (benedette scarpacce) e ho tutto un ginocchio rovinato, ma questo è niente.
C’è in giro un’aria di sgomento che innamora: si parla di fame, di carestia, di guerra vicina, la vera guerra, di depredazioni furti e peggio! Sarà vero? Cerchiamo di mettere in casa delle provviste di quel poco che si trova. Che momenti!! Non ci sono parole per descriverli. Ogni sera e per essere più giusti ogni momento, tormentiamo la radio per avere delle notizie: Roma in mano di questo e di quello, ordini e contrordini, Milano in guerra, i Balcani il punto per me più interessante che mi fa ascoltare senza fiato quel po’ che ci dicono. Tirana resiste… ecco quello che dicono!! Là c’è la guarnigione italiana, il comando, lui… Che farà?? Nessuna speranza di ricevere posta: ordine tassativo di proibizione per la corrispondenza privata, ordine del comando tedesco, niente da fare!
Che pena però. Tutti tornano disarmati, avviliti, stanchi con un gran sgomento nel cuore. Poveri ragazzi! Il governo Badoglio pare che sia rifugiato a Palermo. Possibile che ci abbia gettati così in questo immane disonore?? Chissà qual è la verità!
Lunedì, 13 settembre 1943, ore 18
Giornate sempre piene di sgomento e di angoscia. Per radio torna a farsi udire l’inno dei fascisti, si affacciano un po’ titubanti per riprendere potere all’ombra della protezione tedesca. Comandi tedeschi, ordini tedeschi, tutto tedesco. Cominciamo a guardarli con un po’ di timore. Passano e ripassano auto colonne intere, un frastuono assordante, continuo per la città. lo sono nervosa, tutto mi dà noia. Mi hanno strappato qualcosa dal cuore a viva forza, la posta era per me tutto, l’ho sempre attesa con ansia, ora più niente. Ho l’impressione di vederlo apparire da un momento all’altro. Sono qui e lo aspetto.