13 agosto
“La migliore batteria contraerea per la difesa di Roma non funziona più”. Questo ha detto oggi – come racconta qualche suo collaboratore – il re Vittorio Emanuele. Si riferiva al papa.
Stamani alle 11 in punto (la stessa ora del bombardamento del 19 luglio) sono arrivate le prime delle 106 “Fortezze volanti”1 che, scortate da 45 Lightning2 e comandate dal generale James Doolittle3, hanno bombardato Roma per un’ora e mezzo. Obbiettivo ufficiale erano – sembra – i nodi ferroviari, ma in realtà le bombe sono cadute su tantissime abitazioni civili dei quartieri popolari Prenestino, Casilino, Appio, San Lorenzo, Porta Maggiore e San Giovanni. I giornali scriveranno di 1500 morti, seimila feriti, diecimila case in macerie o lesionate, 40 mila romani senza tetto.
Dopo l’ultima sirena del cessato allarme, alle 12.30, papa Pio XII, accompagnato dal sostituto segretario di stato monsignor Giovan Battista Montini (il futuro papa Paolo VI), è uscito dal portone del Vaticano su via Angelica e si è recato nelle zone maggiormente colpite. La vecchia Mercedes nera col guidoncino bianco e giallo procedeva lentamente, stretta dalla gente che accorreva e guardava il papa in silenzio; solo qualcuno diceva “pace, pace”, ma senza gridare.
Prima tappa la chiesa dei santi Fabiano e Venanzio, nel quartiere Tuscolano. Qui il papa è sceso dall’auto e – come scriverà l'”Osservatore romano” – ha invitato a “pregare per i cari morti e a rivolgere fiduciosa preghiera a Dio e alla SS.ma Madre per impetrare la divina clemenza sulla città eterna”. Poi ha alzato con le mani un pacco di banconote da mille lire, che ha distribuito ai più vicini.
Il papa mostra un pacco di biglietti da mille lire, che distribuirà ai più vicini.
La seconda tappa è stata San Giovanni in Laterano o, meglio, la scalinata della basilica. Il papa si è inginocchiato, ha recitato delle preghiere, si è alzato e ha benedetto la folla. Domani la Gazzetta del popolo di Torino racconterà anche che, mentre si avviava alla sua auto, una barella gli è passata vicino con un giovane ferito gravemente. Il papa lo ha benedetto, gli ha messo la mano sulla fronte e la tunica bianca si è macchiata di sangue.4
Il papa si è recato in mezzo alle macerie. Nessuno del governo e della Casa reale, solo la principessa di Piemonte, Maria-José; brevemente, nel pomeriggio, con un abito di seta a fiori e un leggero cappello a larghe tese. Faceva caldo, stamani; a mezzogiorno il termometro segnava 31 gradi.
La principessa di Piemonte, Maria-José, fra le macerie nel quartiere Tiburtino.
Questa inusuale presenza del Papa, oggi come il 19 luglio (mai, prima di allora, era uscito dal Vaticano), deve avere un senso; e un senso deve averlo anche una nota, anch’essa inusuale, di Radio Londra, che, dando notizia del bombardamento, ha aggiunto che “Roma non ha alcuna speciale considerazione da parte del Comando delle forze alleate dell’Africa del nord; essa costituisce né più né meno che un obiettivo militare e viene trattata alla stregua di qualsiasi altra città”.
Vediamo di trovare il senso. La storia comincia subito dopo l’arresto di Mussolini. Già il 27 luglio monsignor Domenico Tardini, segretario per gli affari straordinari della Segreteria di stato vaticana, ha preso contatto col consigliere d’ambasciata Francesco Babuscio Rizzo, che qualche giorno prima, col titolo di incaricato d’affari ha preso il posto di Galeazzo Ciano (dimissionario; in realtà gli è stato detto di dimettersi) come ambasciatore italiano presso la Santa Sede.
Al nuovo rappresentante dello Stato italiano monsignor Domenico Tardini ha chiesto, a nome del papa, di adoperarsi perché Roma venga dichiarata “città aperta”; si sarebbe così riparato alle promesse non mantenute del governo passato e si sarebbe data una dimostrazione di rispetto verso la capitale e verso tutti i cattolici, che avrebbe costituito – ha sottolineato monsignor Tardini – “una grande benemerenza per il nuovo governo”5.
Il 31 luglio l’ambasciata italiana ha comunicato alla Segreteria di stato l’intenzione di accogliere la richiesta del papa e di impegnarsi a rimuovere tutti gli ostacoli di natura militare che possono impedire il riconoscimento della capitale come “città aperta”. La notizia è stata subito riferita ai delegati apostolici Amleto Cicognani e William Godfrey, che l’hanno fatta immediatamente conoscere ai governi americano e inglese. Forse è per questo che il Comando alleato ha sospeso il bombardamento di Roma fissato – come poi si è saputo – per il 2 agosto.
I giorni sono tuttavia passati (incertezze? contrasti brocratici? paura dei tedeschi?) senza la dichiarazione ufficiale del governo italiano. Così il bombardamento del 2 è stato fatto oggi, venerdì 13; e così domani il governo italiano si deciderà a dichiarare formalmente e pubblicamente Roma “città aperta”, dandone comunicazione a tutte le rappresentanze diplomatiche: “Dato il succedersi delle offese aeree su Roma, centro della cattolicità, il governo italiano è venuto alla determinazione di procedere senza attendere oltre alla formale e pubblica dichiarazione di Roma città aperta e sta preparando le necessarie misure a norma del diritto internazionale”.
La norma, però, non esiste come norma codificata. Parlando di “città aperta” la vecchia convenzione dell’Aja del 1907 faceva riferimento soltanto a città indifese, pronte cioè ad arrendersi; e ovviamente non si occupava di imprevedibili, allora, bombardamenti aerei. Si può pensare oggi che il concetto di “città aperta” comporti un’assenza di strutture militari, di comandi operativi, di attrezzature e di sistemi di difesa; ma tutto questo è tedesco, dei tedeschi e agli ordini dei tedeschi. Per di più la dichiarazione dell’Italia è unilaterale, in nessun modo negoziata con l’altra parte.
Precedenti affidabili non ce ne sono. Il 13 giugno del 1940 Parigi fu dichiarata città aperta, ma i soldati tedeschi entrarono nella città il giorno dopo. Belgrado fu dichiarata città aperta (senza neppure una batteria contraerea) dal nuovo governo jugoslavo di re Pietro e il 27 marzo 1941 fu ridotta in macerie dalla Luftwaffe (17 mila morti e 20 mila feriti). Città aperta era stata dichiarata anche Manila, nelle Filippine, e i giapponesi la bombardarono egualmente nel giorno di Natale del 1941. Dopodomani il Times di Londra scriverà: “Il governo italiano ha citato la legge internazionale, ma essa è più del solito complessa e perfino vaga su tale argomento”.
La questione sarà discussa dal presidente Roosevelt e da Winston Churchill tra quattro giorni nel loro incontro a Quebec, ma senza decisioni; e il 7 ottobre il sottosegretario di stato americano Edward Stettinius invierà a Roosevelt un memorandum per fargli notare che bombardare Roma poteva avere ripercussioni negative sull’opinione pubblica non solo degli Stati Uniti ma di tutti i paesi cattolici e in particolare in America latina. Niente. Ancora a Roosevelt in novembre invierà una lettera il segretario di stato Cordell Hull insieme a un progetto di comunicazione da fare al papa; proprio un bel testo: “Come Vostra Santità ben conosce, condivido la sua grande preoccupazione per l’incolumità, in Roma, della nostra comune identità religiosa e culturale e continuo a prestare alla questione della sua salvezza ogni mia più viva attenzione e cura… Ho ora il piacere di portare a conoscenza di Vostra santità che è stata presa la decisione di riconoscere Roma come città aperta sulla base della dichiarazione d’agosto del Regio Governo italiano e delle successive misure per la sua attuazione notificate per il tramite della Santa Sede, a patto che il governo tedesco voglia convenire in detto riconoscimento di Roma come città aperta sulla stessa base”.
La lettera non partirà. Il presidente degli Stati Uniti sarebbe favorevole, ma il governo inglese riterrà inopportuna una iniziativa del genere. Il progetto verrà definitivamente accantonato.
Nella logica terribile della guerra l’intangibilità della cosiddetta città eterna non appare una questione importante, nonostante gli sforzi del pontefice. Il prossimo 30 agosto Pio XII scriverà una lettera direttamente al presidente Roosevelt, che la riceverà l’11 settembre, portatagli a mano dall’ingegnere Enrico Pietro Galeazzi, “delegato speciale” del papa. È un testo patetico, che allarga il tema ben oltre la sorte di Roma: “Troppi, temiamo, accettano per dato che l’Italia sia libera di seguire la politica che vuole… Del suo desiderio di pace e della volontà di ottenere questa pace non c’è dubbio; ma la presenza di troppe e formidabili forze ne ostacolano l’attuazione o semplicemente la dichiarazione ufficiale, ed essa si trova inceppata e quasi senza i necessari mezzi per difendersi. Se in tali circostanze l’Italia deve essere ancora costretta a subire altri colpi distruttivi contro i quali si trova praticamente senza difesa, noi speriamo e preghiamo che i capi militari trovino il mezzo di risparmiare le devastazioni della guerra almeno alle innocenti popolazioni civili e in particolari alle chiese e agli istituti religiosi”.
La lettera non riceverà risposta. Da oggi alla liberazione di Roma, il 4 giugno dell’anno prossimo, ci saranno però una cinquantina di incursioni aeree nei dintorni di Roma, ma nessuna bomba verrà lanciata sulla città, salvo le quattro gettate non si sa da chi, il 5 novembre, nei giardini del Vaticano.6
1 “Fortezze volanti” (“Flying Fortess”) venivano chiamati i bombardieri B-17, i più usati dagli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale; avevano quattro motori e potevano portare 7.983 chilogrammi di bombe (generalmente otto da 454 chilogrammi, sei da 726, 16 da 227 e due da 1.814). Dopo la fine della guerra la Boeing continuò a costruirli come quadrimotori da trasporto passeggeri per percorsi a lunga distanza.
2 I Lightning (in inglese “lightning” significa “fulmine”) erano caccia pesanti bimotori e una doppia fusoliera; furono i più usati dagli Stati Uniti durante la guerra.
3 James Doolittle era il più famoso generale dell’aeronautica degli Stati Uniti per avere bombardato Tokyo il 18 aprile del 1942 con sedici B-25 decollati dalla portaerei “Enterprise”. Si veda la nota 4 della giornata del 2 dicembre.
4 Molte informazioni sul secondo bombardamento di Roma sono in “L’Italia sotto le bombe” di Marco Patricelli, Laterza, 2007.
5 Un documentato racconto di questa vicenda è in http://www.pioxii.150m.com/10.htm
6 Si veda la giornata del 6 novembre.
13 agosto – Di più
– Due giorni dopo l’invio della lettera al presidente Roosevelt (vedi sopra), il 1o settembre, quarto anniversario dell’inizio della guerra, il papa parlerà alla Radio Vaticana, ricordando l’impegno della Chiesa perché il conflitto non scoppiasse: “La nostra voce giunse agli orecchi, ma non illuminò gli intelletti e non scese nei cuori. Lo spirito della violenza vinse sullo spirito della concordia e dell’intesa. Alla soglia del quinto anno di guerra anche coloro che contavano allora sopra rapide operazioni belliche una sollecita pace vittoriosa non sentono che dolori e non contemplano che rovine”.
Ora è il futuro che preoccupa il papa e le voci di resa senza condizioni che circolano, a cominciare dall’Italia. Pio XII non è d’accordo: “Non turbate né offuscate la brama dei popoli per la pace con atti che, invece di incoraggiare la fiducia, riaccendono piuttosto gli odi e riscaldano il proposito di resistenza. Date a tutte le nazioni la fondata speranza di una pace degna, che non offenda il loro diritto alla vita né il loro sentimento di onore”.