17 ottobre

Il Cln (Comitato di liberazione nazionale) chiama alla guerra contro i tedeschi e i fascisti, sotto la guida non del re e di Badoglio ma di un governo dei partiti antifascisti, nuovamente costituiti in clandestinità.

Il Comitato centrale di liberazione nazionale si è riunito a Roma e ha approvato un mozione in cui è detto che “compito e necessità suprema della riscossa nazionale” è la guerra di liberazione, la cui conduzione non può essere riconosciuta nel governo del re e di Badoglio. Il Comitato è composto da Mauro Scoccimarro e Giorgio Amendola del Partito comunista, da Pietro Nenni e Giuseppe Romita del Partito socialista di unità proletaria, da Ugo La Malfa e Sergio Fenoaltea del Partito d’azione, da Meuccio Ruini di Democrazia del lavoro, da Alcide De Gasperi per la Democrazia cristiana, da Alessandro Casati per il Partito liberale; Ivanoe Bonomi ne è il presidente1. Il Comitato chiede anche la “costituzione di un governo straordinario che sia l’espressione di quelle forze politiche le quali hanno costantemente lottato contro il fascismo”.

I nomi e le sigle di questi partiti – Pci, Psiup, Pd’Az., Democrazia cristiana, Democrazia del lavoro – sono sconosciuti alla stragrande maggioranza degli italiani. Non si sono più letti sui giornali e sui manifesti dopo il 1925, quando Mussolini ha dissolto l’intera organizzazione dei partiti di opposizione; si sono visti per qualche giorno sui giornali dopo lo scorso 25 luglio; poi non più, perché il governo Badoglio ha proibito ogni attività e visibilità dei partiti politici; più niente con la liberazione di Mussolini e con la nascita della Repubblica Sociale. È da quasi mezzo secolo che gli italiani ignorano la democrazia, sia come forma di governo sia come dottrina, e quindi anche i raggruppamenti politici in cui si esprime il sistema democratico.

Uno dei manifesti del Comitato di liberazione nazionale. I partiti firmatari si chiamano ora Partito comunista d'Italia (poi Pci), Partito socialista italiano per l'unità proletaria (poi Psi), Partito d'azione, Democrazia cristiana, Democrazia del lavoro (solo a Roma; poi scomparirà), Partito di ricostruzione liberale (poi sarà Pli)

Uno dei manifesti del Comitato di liberazione nazionale. I partiti firmatari si chiamano ora Partito comunista d’Italia (poi Pci), Partito socialista italiano per l’unità proletaria (poi Psi), Partito d’azione, Democrazia cristiana, Democrazia del lavoro (solo a Roma; poi scomparirà), Partito di ricostruzione liberale (poi sarà Pli).

Nel settembre del 1942 Myron Taylor, rappresentante personale del presidente Roosevelt presso il papa Pio XII, ha chiesto informazioni al conte Dalla Torre, direttore dell'”Osservatore romano”, sui partiti antifascisti e sulle prospettive che si sarebbero potute aprire per la politica italiana dopo la fine della guerra. Giuseppe Dalla Torre l’ha chiesto a Alcide De Gasperi, che, deputato trentino al Parlamento di Vienna prima della prima guerra mondiale, poi deputato nel Parlamento italiano nel 1922 per il Partito popolare, poi in carcere nel 1926, da anni si è rifugiato in Vaticano, dove lavora come bibliotecario.

In un breve memorandum2 De Gasperi ha scritto che l’opposizione antifascista, più o meno clandestina, era formata da quattro gruppi: da uomini politici, ex ministri e ex membri del Parlamento, liberali, popolari (democratici cristiani), socialriformisti (come Ivanoe Bonomi, già presidente del Consiglio dei ministri nel 1921-22), socialisti; da generali, come Badoglio e Caviglia, o alti ufficiali; da scrittori, professori, esponenti dell’intellettualità liberale e cattolica (come Tommaso Gallarati Scotti, Giovanni Visconti Venosta, Stefano Jacini, Alberto Albertini, Benedetto Croce, Guido De Ruggiero, Guido Calogero, Ferruccio Parri, Piero Calamandrei, Luigi Salvatorelli, Giorgio La Pira); da comunisti, del cui partito poco si sapeva come forza e organizzazione, perché i loro capi o erano detenuti nelle carceri o erano esuli all’estero3.

Dalla fine dello scorso anno, quando le sorti della guerra nazista e fascista hanno cominciato a declinare, i sopravvissuti dell’opposizione antifascista hanno preso a riunirsi clandestinamente. Alcuni, a Roma, in casa di Ivanoe Bonomi, e altri, ogni domenica, in casa di Alberto Bergamini, ex direttore del Giornale d’Italia; altri, i cattolici, che vedevano il loro capo in Alcide De Gasperi, in via Cola di Rienzo, in casa di Giuseppe Spataro, un ex segretario del Partito popolare. Di recente tutti hanno accolto anche un rappresentante del Partito comunista, Concetto Marchesi, docente di letteratura latina all’università di Padova. A Milano alcuni uomini d’affari, scrittori e professori universitari (fra cui Calamandrei, Calogero, De Ruggiero, Salvatorelli) si sono trovati intorno a Ferruccio Parri e a Ugo La Malfa. Negli ultimi mesi i due gruppi, di Roma e di Milano, hanno stabilito contatti e il loro dibattito diventerà il tema politico del nascente movimento di resistenza.

Sia pure in clandestinità, la fine dello scorso anno e i primi mesi di quest’anno hanno visto l’organizzarsi delle diverse correnti politiche. In ottobre a Milano, nell’abitazione dell’industriale Enrico Falck, è nata, sulle ceneri del vecchio Partito popolare, la Democrazia Cristiana. C’erano Alcide De Gasperi, Stefano Jacini, Achille Grandi, Giovanni Gronchi, don Primo Mazzolari. Più tardi si sarebbero aggiunti Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Giorgio La Pira.

Il 10 gennaio a Milano un gruppo di socialisti, fra cui Lelio Basso e Corrado Bonfantini, ha creato il Movimento di unità proletaria (Mup) come fondamento di un nuovo partito socialista capace di superare le antiche divisioni.

Ancora in gennaio gli eredi di Gl (“Giustizia e libertà”)4, tutti uomini di cultura e intellettuali di alto livello, hanno creato un partito che hanno chiamato Partito d’Azione richiamandosi alla omonima formazione politica risorgimentale e mazziniana. Sono Ugo La Malfa, Carlo Ludovico Ragghianti, Guido Calogero, Ernesto Rossi, Guido De Ruggiero, Riccardo Lombardi (che da poco è stato arrestato ed è in carcere).

In aprile Giorgio Amendola e Celeste Negarville, dirigenti all’estero del Partito comunista d’Italia, sono rientrati in Italia e hanno avviato contatti con azionisti, socialisti, cattolici e liberali. Il 15 maggio l’Internazionale comunista è stata disciolta da Stalin come prova di buona volontà verso gli alleati occidentali e il Partito comunista d’Italia, “sezione dell’Internazionale comunista”, ha cambiato il proprio nome in Partito comunista italiano (Pci).

Il 24 giugno si sono incontrati a Milano, presso l’editore Principato, in corso Sempione, i rappresentanti di tutti i partiti: Alessandro Casati e Leone Cattani per i liberali, Giovanni Gronchi e Piero Mentasti per la Democrazia Cristiana, Riccardo Lombardi per il Partito d’azione, Lelio Basso per il Movimento di Unità proletaria, Roberto Veratti per il Partito socialista, Concetto Marchesi per il Partito comunista. Un nuovo incontro è avvenuto il 4 luglio in via Poerio, sempre a Milano. Tutti d’accordo sugli obiettivi finali (arresto di Mussolini, armistizio, libertà democratiche), ma disaccordo su alcuni punti: la pregiudiziale repubblicana5 e la chiamata all’insurrezione popolare.

Pochi o nessuno i contatti con il re e con i vertici dissidenti del fascismo. Soltanto il 10 luglio Ivanoe Bonomi è stato ricevuto dal re, dopo molte insistenze e solo su pressione della principessa di Piemonte, Maria José, che da tempo opera per favorire contatti fra il Quirinale, gli uomini politici del prefascismo e gli Alleati.

Subito dopo l’arresto di Mussolini il 25 luglio, rappresentanti dell’antifascismo si sono riuniti un po’ dovunque e a Roma si è costituito un Comitato nazionale delle opposizioni. È stato rifondato il Partito liberale, a cui hanno aderito Benedetto Croce e Luigi Einaudi, mentre Ivanoe Bonomi ha dato vita alla Democrazia del lavoro sulle ceneri della vecchia prefascista Democrazia sociale.

Il 3 agosto una delegazione del Comitato delle opposizioni, composta da De Gasperi, Bonomi, Salvatorelli, Amendola e Ruini, si è recata da Badoglio per chiedere la cessazione della guerra e il 13 è tornata dal capo del governo per chiedere almeno il ripristino delle libertà e dei diritti civili.

Il 7, a Milano, Pci, Psi e Pd’Az. si sono pronunziati contro il governo Badoglio e il 23, a Roma, il Comitato delle opposizioni ha chiesto la sostituzione del governo Badoglio con un governo composto dai partiti antifascisti.

Il 29 agosto il Pci ha nominato la nuova direzione (Giorgio Amendola, Luigi Longo, Celeste Negarville, Mauro Scoccimarro, Pietro Secchia) e qualche giorno dopo ha dato vita a una giunta militare (Luigi Longo, Sandro Pertini e Riccardo Bauer) col Partito d’azione e col Partito socialista di unità proletaria (Psiup), che ha riunito il Psi e il Mup (segretario Pietro Nenni, vicesegretari Sandro Pertini e Giuseppe Saragat).

Il 9 settembre, il giorno dopo l’annunzio dell’armistizio, il Comitato delle opposizioni si è trasformato in Comitato di liberazione nazionale; nei giorni seguenti, Comitati regionali di liberazione sono stati costituiti in ogni capoluogo di regione nel Centro e nel Nord dell’Italia6. Il 12 Mussolini è liberato, l’Italia passa sotto il controllo tedesco. I Comitati di liberazione diventano organi di lotta.

A metà settembre un gruppo di antifascisti guidati da Duccio Galimberti e da Dante Livio Bianco, quasi tutti del partito d’azione, ha dato inizio, sulle montagne di Cuneo, alla guerra partigiana.


1 Le diverse radici politico-culturali dei membri di questo Comitato centrale e anche la loro età (Bonomi il più anziano, 70 anni; Amendola, 35, e La Malfa, 40, i più giovani) rendevano a volte confuso il dibattito interno. Lo racconta bene Pietro Nenni, nei suoi Diari 1943-1956: “Alcuni dei membri del Comitato sono inguaribilmente legati alle loro tradizioni parlamentari; essi sono onesti, probi, moralmente coraggiosi, ma hanno l’abito mentale del padre nobile che dà pareri. Il presidente Bonomi non sa generalmente vedere oltre la contingenza immediata; l’ordine dei suoi riferimenti non va oltre la cerchia di Montecitorio; fra il ‘sì’ e il ‘no’ egli propende per il ‘ni’. È senza dubbio un democratico sincero, ma è difficile credere che a settant’anni troverà la qualità di energia che ventidue anni or sono gli sono mancate (quando, nel 1921, era presidente del consiglio, prima di Facta). Il senatore Casati, che rappresenta i liberali, è un gentiluomo di una squisita distinzione e di una rara cultura, ma mi sembra un rappresentante tipico di quei conservatori lombardi che sono sempre in ritardo di un’idea e di una iniziativa. L’onorevole De Gasperi è prudente e diffidente come la chiesa che ha dietro di lui. L’onorevole Ruini promette più di quanto possa mantenere, date le fragili basi della Democrazia del lavoro che impersona. “Pazienza e tempo” è il motto di questi miei colleghi, come lo fu del generale Kutuzov nella sua lotta contro Napoleone. Pazienza e tempo” è anche il motto di Mauro Scoccimarro, che nel Comitato rappresenta, assieme a Giorgio Amendola, i comunisti. Ma la sua pazienza non esclude l’audacia, anzi ne è la premessa. Mi diverte la specie di paterna tenerezza con la quale i moderati del Comitato si coccolano Scoccimarro. E avrei quasi voglia di dire loro in un orecchio: “Non è un gatto domestico, è un giovane orso. Aspettate che abbia le unghie e graffierà”. Chi fra di noi sembra il meno paziente è Ugo La Malfa che rappresenta il Partito d’azione. Tanto è difficile per Bonomi sottrarsi alla contingenza immediata, quanto è difficile per La Malfa aderirvi. In lui c’è sempre la tendenza a lasciare il reale per l’ideale, il concreto per l’astratto. In questo giovane ho ritrovato molti dei tratti di Carlo Rosselli e soprattutto la tendenza a ricondurre le questioni politiche al piano di questioni morali. Così com’è, coi suoi difetti e le sue qualità, il Cln non mi sembra sia al di qua di quanto è possibile fare nell’Italia odierna”.

2 In Memorie di Giuseppe dalla Torre, Milano, 1956.

3 Nel luglio del 1943 i confinati politici, secondo i dati del ministero dell’interno (in Archivio centrale dello stato), erano 1824; nel primo semestre dello stesso anno gli arresti per motivi politici furono 1088 e 77 i deferiti al Tribunale speciale.

4 “Giustizia e libertà” è nata nell’estate del 1940 con un “Manifesto del liberalsocialismo”, scritto da Guido Calogero, che coinvolse un vasto gruppo di intellettuali fra cui Piero Calamandrei, Tristano Codignola, Luigi Russo e, più tardi, tra il 1941 e il 1942, anche Norberto Bobbio, Carlo e Alessandro Galanta Garrone, Ada Marchesini Gobetti, vedova di Piero Gobetti.

5 Rigidi sulla pregiudiziale repubblicana erano il Mup e il Pd’Az; non il Pci. Il docente universitario ed esponente liberale Carlo Antoni ha scritto che il suo collega di università Concetto Marchesi gli disse che il Partito comunista si sarebbe schierato col re se questi avesse realizzato un colpo di stato; Antoni lo raccontò alla principessa di Piemonte, che lo riferì a Vittorio Emanuele.

6 L’incontro di personalità politiche o di intellettuali di diversa estrazione culturale e di diverse esperienze di vita faceva di tutti questi organi, centrali e periferici, una grande scuola di democrazia. In attesa che le elezioni stabiliscano il peso di questa e quella corrente ideologica, la rappresentanza in questi organismi era paritetica e il voto eguale; si decideva a maggioranza, ma quasi sempre si cercava l’unanimità. I partiti rappresentati erano dovunque cinque: Pci, Psiup, P.d’Az., Dc, Pli (sei a Roma con la Democrazia del lavoro).