19 agosto

Il generale Castellano è inviato a Lisbona per cercare un contatto con gli angloamericani; non per offrire la resa ma per chiedere di aiutare l’Italia a togliersi dai guai. La risposta è: “resa senza condizioni”.

Lisbona; sono le 22.30; la strada è buia. Il generale Giuseppe Castellano entra cautamente nell’abitazione privata dell’ambasciatore inglese in Portogallo, sir Roland Campbell. Lo aspettano il generale americano Walter Bedell Smith, il brigadiere generale William Kenneth Strong, inglese, e George Kennan, incaricato d’affari degli Stati Uniti a Lisbona. È il momento cruciale dell’incredibile avventura dell’alto ufficiale inviato da Roma (il fascismo è caduto da più di tre settimane, gli eserciti alleati stanno avanzando in Calabria) non per offrire la resa agli angloamericani e ottenere, se ancora possibile, un decente armistizio; il compito che gli è stato affidato è di conoscere le intenzioni di quelli che sono ancora “nemici”, di chiedere aiuti allo scopo di sganciarsi dai tedeschi e anche di dare dei buoni consigli sul modo di compiere con successo qualche sbarco in Italia; meglio se a nord di Roma, nel Tirreno e nell’Adriatico1.

Il generale Giuseppe Castellano, 'generale addetto' al capo di Stato maggiore generale Vittorio Ambrosio. È nato a Prato, ma è di origini siciliane.

Il generale Giuseppe Castellano, “generale addetto” al capo di Stato maggiore generale Vittorio Ambrosio. È nato a Prato, ma è di origini siciliane.

Giuseppe Castellano ha cinquanta anni, è nato a Prato ma di origini siciliane; è il più giovane generale di stato maggiore ed è il “generale addetto” a Vittorio Ambrosio, capo di Stato maggior generale. È partito da Roma la sera del 12. L’iniziativa è di Ambrosio, all’insaputa, ufficialmente, del capo del governo Badoglio, del ministro degli esteri Guariglia, a anche del re2. Nessuno dei tre lo sa o afferma di saperlo; così, caso mai, potranno sempre dire ai tedeschi che non erano a conoscenza della missione. In realtà – scriverà il generale Carboni – lo sanno anche gli uscieri di palazzo Vidoni, sede del Comando supremo, e anche “alcune donnine di Roma, frequentate dal generale Castellano”3.

Castellano è partito sotto il nome di un inesistente commendator Raimondi, funzionario del ministero degli scambi e delle valute. È accompagnato da un cugino di Badoglio, Franco Montanari, un giovane diplomatico. Castellano non conosce l’inglese e Montanari gli servirà da interprete.4 In tasca (non ha una borsa) non ha niente: né lettere credenziali, né un documento che attesti la sua identità e l’ufficialità della sua missione. Ha solo un biglietto di presentazione per l’ambasciatore inglese a Madrid, sir Samuel Hoare; glielo ha dato l’ambasciatore inglese presso la Santa Sede, Francis Osborne.

Tre giorni per andare in treno da Roma a Madrid. A Madrid Castellano arriva il 15. L’ambasciatore Hoare, al quale spiega i suoi compiti, si mostra sorpreso, ma cortese e disponibile; avverte il suo governo a aiuta l’imprevisto visitatore a spostarsi a Lisbona.

A Lisbona il signor Raimondi-Castellano è arrivato la sera del 16 e il 17 si è incontrato con l’ambasciatore inglese. Sir Roland Campbell lo ha ascoltato, ma con molta diffidenza. Già quindici giorni fa, il 4, ha ricevuto un altro emissario di Roma, il consigliere di legazione Blasco Lanza d’Ajeta5, che, a nome del ministro degli esteri Guariglia, gli ha detto le stesse cose: che l’uscita dell’Italia dal conflitto è nel comune interesse, ma che per farlo ha bisogno dell’aiuto angloamericano. “Il diplomatico italiano” scrive Campbell nel rapporto al suo governo “non ha mai alluso a termini di pace e tutto quello che ha detto è stato la preghiera che gli angloamericani salvino l’Italia dai tedeschi e da se stessi al più presto possibile”.

L’ambasciatore Campbell forse non sa che nello stesso giorno del suo primo incontro con Castellano, il 17, un altro diplomatico italiano, Alberto Berio, arrivato a Tangeri il 4 con una analoga missione, ha avuto una serie di colloqui col console inglese Gascoigne e alla fine ha ricevuto una comunicazione spazientita delle autorità angloamericane: il governo italiano si decida; offra la resa senza condizioni e chieda di conoscere i termini da sottoscrivere per ottenere l’armistizio.

Dopo due giorni di attesa il generale Castellano è invitato in ambasciata, stasera alle 22.30. Con sir Roland Campbell e l’incaricato d’affari americano a Lisbona George Kennan c’è il Capo di stato maggiore delle forze alleate nel Mediterraneo, generale Walter Bedell Smith, e il capo dell’Intelligence, brigadiere generale William Kenneth Strong; americano il primo, inglese il secondo; sono arrivati da Algeri, proprio per incontrarsi con questo nuovo inviato da Roma. L’incontro non è cordiale. “Mi salutano con un cenno del capo” scriverà Castellano6 “e nessuno mi stringe la mano”. Si siedono, però; e il generale Smith prima legge e poi consegna a Castellano un documento: è il testo delle condizioni di armistizio, quello che impropriamente sarà chiamato “armistizio breve” o (come traduzione dell’inglese letterario “curt”) “armistizio corto”; in realtà è uno stralcio, limitato alle clausole militari, del documento completo e non ancora terminato che sarà così chiamato “armistizio lungo”.

Il generale Castellano rimane sconcertato e dice, con candore, che non ha nessun mandato per trattare l’armistizio. Stupiti (ma allora perché siamo venuti qui da Algeri?), Smith e Strong replicano seccamente: le condizioni di armistizio possono essere accettate o non accettate ma non discusse.

Non si discute, ma si parla, poi, di altre cose: della cessazione delle ostilità fra Italia e alleati (“a partire dalla data e dall’ora che verrà comunicata dal generale Eisenhower”), dell’ingresso in guerra delle forze armate italiane al fianco dei nuovi alleati e delle loro necessità (carburante, carri armati, armi anticarro e anche scarpe) e dei piani di possibili sbarchi angloamericani (Castellano insiste sull’idea, di Ambrosio, di uno sbarco a nord di Roma, tra Grosseto e la Spezia); infine, a lungo, si parla delle modalità di accettazione dell’armistizio (“entro e non oltre” il 30 agosto).

L’incontro dura più di otto ore e il generale Castellano uscirà dall’abitazione dell’ambasciatore inglese domani mattina alle 7. Dopodiché la vicenda assumerà aspetti ancora più incredibili. Castellano ha in mano un documento importante da far conoscere al governo italiano (il cosiddetto “armistizio breve”), ma il primo treno possibile partirà fra quattro giorni, il 24, e arriverà a Roma il 27. Per far sapere che ha compiuto la missione invierà il 22 due telegrammi attraverso la radio della legazione d’Italia a Lisbona, ma scritti con un linguaggio così criptato (“la partita di volfranio è stata acquistata” e “i prigionieri ammalati saranno liberati entro pochissimi giorni”), che l’ufficio cifra del ministero rinunzierà a capirli e li archivierà senza informarne il ministro.

Nel frattempo il Comando supremo, non avendo più notizie di Castellano e non escludendo che sia stato catturato dai tedeschi, deciderà di mandare a Lisbona un altro generale, Giacomo Zanussi, addetto del generale Roatta; lo accompagneranno il tenente Mario Lanza come interprete e, come prova di legittimità, il generale inglese Carton De Wiart, liberato dalla prigionia (un occhio e il braccio destro mancanti per ferite in combattimento). I tre arriveranno a Lisbona il 25 e Zanussi sarà accolto con tanto sospetto da rischiare di essere considerato una spia e fucilato. Dopo Lanza d’Ajeta e Castellano, Zanussi è il terzo inviato da Roma (il quarto con Berio a Tangeri); non verrà fucilato, ma trasferito in aereo al Comando delle forze angloamericane ad Algeri e poi a Cassibile in Sicilia7.

Sarà a Cassibile che Zanussi a Castellano si incontreranno e sarà qui che ci si accorgerà, il 3 settembre, che l'”armistizio breve” è solo uno stralcio dell'”armistizio lungo”; e che l'”armistizio lungo” conterrà, insieme alle già note clausole militari dell'”armistizio breve”, anche pesanti condizioni di natura politica, economica e finanziaria e forti limitazioni alla sovranità del paese8.


1 Raffaele Guariglia, Ricordi 1922-1946, ESI, 1950.

2 Nelle sue memorie il generale Castellano dà due differenti versioni. Nella prima (Come firmai l’armistizio di Cassibile, 1945) parla di “insaputa” e di “passiva acquiescenza”; nella seconda (1963) afferma che “la decisione fu presa da Badoglio e da Guariglia con il benestare del re”.

3 Dati i suoi rapporti con Badoglio e la sua ostilità per Castellano, tutto quello che scrive il generale Carboni (Più che il dovere. Memorie segrete, Parenti, 1955) è spesso sospetto.

4 Nato nel 1905, morto nel 1973, Montanari apparteneva a una nobile famiglia di Moncalvo d’Asti, imparentata con i Badoglio. Il padre era morto, per ferite in combattimento, nella prima guerra mondiale. La madre era americana, Elen Day, figlia di un banchiere di Boston. Laureato in lettere a Harvard nel 1927, Franco Montanari tornò in Italia e si laureò nel 1932 in scienze politiche a Perugia, per intraprendere subito dopo la carriera diplomatica. Il fratello Valerio aveva preso invece il passaporto americano e anche lui era entrato in diplomazia. Montanari accompagnerà il generale a Cassibile (si veda la giornata del 3 settembre).

5 Il marchese Blasco Lanza d’Ajeta di Trabia era il capogabinetto di Galeazzo Ciano ministro degli esteri.

6 In Come firmai l’armistizio, opera già citata.

7 Nelle sue memorie di guerra Eisenhower scrive: “Incominciò una serie di negoziazioni, comunicazioni segrete, viaggi clandestini di agenti segreti e frequenti incontri in nascondigli che, a leggerli nei romanzi, sarebbero stati derisi come melodrammi incredibili”.

8 Su richiesta di Badoglio, il testo integrale dell’armistizio verrà reso noto dai governi inglese e americano soltanto a guerra finita, nel novembre del 1945.

19 agosto – Di più

– È interessante, anche perché poco noto, il racconto che il generale Castellano ha fatto del suo avventuroso viaggio a Lisbona; è parte del diario, conservato negli Archivi nazionali degli Stati Uniti (College Park Maryland), che è stato pubblicato dal quotidiano La Sicilia di Catania nel settembre 2003 e si può scaricare in pdf (Diario del generale Giuseppe Castellano) oppure sul sito del “Centro Studi della Resistenza”.

Ecco l’estratto:

“Lascio Roma la sera del 12 agosto 1943, con l’ordine di raggiungere Lisbona e stabilire un contatto con l’ambasciatore britannico. Il mio compito è quello di illustrare l’attuale situazione italiana ai governi inglese e americano e di capire le intenzioni militari degli Alleati. Porto con me la lettera di presentazione dell’ambasciatore Osborne indirizzata all’ambasciatore Hoare, a Madrid. Viaggio su un vagone assieme a vari funzionari del ministero degli Esteri. Il mio pseudonimo è Raimondi. Non ho alcun visto per entrare in Spagna e in Portogallo. Non mi sarà quindi possibile recarmi da Lisbona a Madrid senza inventarmi qualche pericoloso trucco, che potrebbe nuocere alla segretezza della mia missione. Non ho alcun documento ufficiale che attesti l’ufficialità della mia missione dinanzi agli Alleati.

“Inizio il mio viaggio confidando unicamente nella mia buona stella. Il mio treno arriva a Madrid nel pomeriggio del 15 agosto. Ritengo opportuno incontrarmi immediatamente con Sir Samuel Hoare ed iniziare le discussioni a Madrid piuttosto che a Lisbona. Gli faccio recapitare subito la lettera. Poco dopo egli mi riceve nella sua residenza privata. Nel corso del pomeriggio sostengo con lui due colloqui. Hoare si fida di me fin dal primo momento. Comprende l’obiettivo della mia missione e mi promette di inviare subito un telegramma a Londra per ricevere istruzioni sul da farsi. Mi suggerisce anche di organizzare un incontro a Lisbona con un ufficiale inglese ed uno americano. Spedisce poi un telegramma all’ambasciatore Campbell per metterlo al corrente delle mie mosse e mi consegna una lettera di presentazione. Durante la conversazione (ed è per me un momento difficile), Hoare mi chiede se l’Italia porrà delle condizioni per schierarsi in guerra contro la Germania. Gli rispondo che non sono stato autorizzato a esprimere giudizi su questo tema. Tuttavia, per non turbare l’ambasciatore, cosa che avrebbe potuto compromettere la mia missione fin dall’inizio, lo informo che non ho avuto restrizioni a discutere questioni militari e che le questioni politiche spettano unicamente al governo Badoglio. Hoare mi risponde che il governo italiano è stato molto corretto a non chiedere niente in cambio. Mi dice anche che non può esprimere opinioni personali al riguardo. Noto che prende appunti sulle questioni in discussione, ma non mi permette di fare la stessa cosa. Insiste molto sul pericolo che i tedeschi abbiano avuto una soffiata sulla mia missione e mi consiglia di mettermi sotto la protezione degli agenti britannici a Lisbona (cosa che poi farò). Mi informa che i tedeschi sono ovunque, che in Spagna sono riusciti ad infiltrarsi in tutti i ministeri e che Lisbona è piena di spie. Mi suggerisce, quindi, di fare molta attenzione. A proposito dell’Italia, mi racconta di essere stato un buon amico del generale Cadorna e di aver combattuto sul fronte italiano durante la Grande Guerra come responsabile delle informazioni per il comando dell’esercito.

“Nel congedarmi, lo ringrazio dell’ospitalità e soprattutto della sua comprensione. Giungo a Lisbona la sera del 16, alle ore 22. La mattina seguente vengo ricevuto dall’ambasciatore britannico Campbell. È già al corrente di tutto, ma mi informa di non aver ancora ricevuto istruzioni da Londra, forse a causa dell’assenza di Churchill. Poi affronta una spinosa questione: il governo britannico potrebbe dubitare del carattere ufficiale della mia missione. Infatti, non ho con me documenti del governo italiano. È molto più riservato di Hoare, più introverso, quasi disinteressato, freddo. Mai scortese. Parla come un burocrate. Noto in lui un gesto di visibile disappunto solo quando gli chiedo se sia opportuno incontrare l’ambasciatore americano. Anche Hoare si era omportato allo stesso modo sull’argomento. Egli non replica alle mie richieste di sollecitare istruzioni da Londra. Il tempo stringe. Ho comunque l’impressione che abbia stabilito un contatto con l’Inghilterra. Campbell mi rassicura: provvederà ad avvertirmi non appena riceverà notizie da Londra. Poi mi invita a casa sua per la sera stessa. A proposito dei contatti già intercorsi con l’ambasciata italiana a Lisbona, mi informa che sono stati molto vaghi e che non vi è stata alcuna definizione. Ho la netta impressione che, se avessi iniziato i miei contatti con Campbell invece che con Hoare, le mie possibilità di successo sarebbero state scarse.

“La mattina del 19 agosto, Campbell mi invita a casa sua per le ore 22.30. Qui incontro George Kennan (l’incaricato d’affari americano), il generale Smith (capo di gabinetto del generale Eisenhower) e il brigadiere Strong, dell’esercito britannico. Sono arrivati da Algeri poche ore prima apposta per potermi incontrare. L’ambasciatore mi presenta. I presenti mi salutano con un cenno del capo. Nessuno mi stringe la mano. Ci sediamo. Il generale Smith inizia a leggere un foglio con i termini dell’armistizio. Io lo ascolto con attenzione e mi accorgo di essere dinanzi ad una nuova situazione, diversa da quella affrontata con Hoare. Chiarisco agli astanti di non aver mai parlato di armistizio, di essere lì per studiare la situazione e per offrire la collaborazione delle truppe italiane. Il generale Smith mi informa che il documento è stato preparato dal generale Eisenhower all’indomani della caduta di Mussolini, prima ancora che io iniziassi a muovermi. Negli ultimi giorni è stata aggiunta al documento solo una pagina supplementare contenente le decisioni prese da Roosevelt e da Churchill. Sono stati avvertiti delle mie richieste da Hoare. Viene poi letto un secondo documento. Io replico che i punti della discussione sono altri. Il generale Smith mi risponde seccamente: ha ordini di trasmettermi i due documenti e mi chiede di accettarli integralmente e senza condizioni.

“Naturalmente non vi è niente da aggiungere. Li informo quindi che non mi resta che portare i documenti a Roma perché il governo prenda una decisione. Non sarò certo io a speculare sui vari punti esposti. Tuttavia alcune cose mi risultano poco chiare: chiedo quindi delle spiegazioni sui concetti espressi dai governi americano e inglese. I presenti, quindi, abbandonano la stanza per qualche minuto per permettermi di meglio studiare le carte. Poco dopo ritornano. Chiedo loro alcuni chiarimenti, ma le loro risposte sono vaghe. Gli Alleati metteranno in piedi un governo militare in alcune regioni italiane? Non mi rispondono. Li informo allora che ciò potrebbe significare la fine del governo Badoglio. A questo punto mi dicono che l’Amgot (American government of occupied territories) potrebbe utilizzare funzionari italiani, come tra l’altro è già avvenuto in Sicilia.

“A conclusione della prima tornata delle discussioni, il generale Smith afferma che il governo italiano è libero di accettare o di respingere i termini dell’armistizio. Tuttavia, se finisse per accettarli, non dovrebbe più avanzare riserve. L’accettazione italiana dell’armistizio dovrà essere comunicata ai governi americano e inglese con un certo preavviso. In seguito, il generale Eisenhower e il governo italiano rilasceranno via radio una dichiarazione ufficiale al mondo intero. Io però insisto: la partecipazione attiva delle forze armate italiane contro la Germania cambia in maniera radicale la natura dell’armistizio, dal momento che in tal modo si passa ad una vera e propria alleanza militare tra l’Italia e gli Alleati.

“Interviene il generale Smith per dirmi che, da soldato, comprende la mia insistenza su questo punto. Egli sa che i governi alleati non possono al momento considerare l’Italia un loro alleato. L’opinione pubblica di Stati Uniti e Gran Bretagna si opporrebbe a tale ipotesi. Ma Smith non esclude che tale possibilità finisca per concretizzarsi in futuro. Tuttavia, sia il popolo americano che quello inglese dovranno comprendere la valida, effettiva collaborazione delle truppe italiane, e il loro contributo alla causa comune. D’altra parte, aggiunge, la prima clausola del documento aggiuntivo stabilisce in maniera chiara i termini della futura situazione. Poi Smith mi chiede di comunicargli altri dubbi, giacché non sarà in grado di fornirmi altre risposte in futuro. Ma io non cedo e cerco di impegnare gli Alleati a siglare un accordo militare con l’Italia. Pongo quindi in risalto la situazione militare italiana e affermo che, se le truppe italiane dovranno combattere contro i tedeschi, diventa necessario fin da subito redigere un piano operativo. L’Italia non può permettersi il lusso di improvvisare all’ultimo minuto.

“Sollevo tale questione per sondare le intenzioni degli Alleati a proposito delle aree del territorio italiano in cui intendono sbarcare le loro truppe. Insisto sul fatto che, senza un minimo di preparazione, le truppe italiane finirebbero per trovarsi in una condizione di svantaggio rispetto ai tedeschi. Infine, pongo in risalto la nostra inferiorità militare ed i molti pericoli che potrebbero derivare dagli attacchi aerei germanici. Il generale Smith non teme l’offensiva aerea tedesca, che potrebbe avere una certa portata solo all’inizio delle ostilità: in pratica, solo in quel lasso di tempo impiegato dall’aviazione militare alleata per raggiungere la penisola.

“Considerando la superiorità dell’aviazione alleata su quella tedesca, le città italiane non avranno niente da temere. Alludo all’eventuale uso di gas. Smith esclude la possibilità che vengano usati, perché ciò equivarrebbe ad un suicidio per le forze tedesche. Faccio notare che, se possiamo difenderci dagli attacchi aerei, non è detto che ciò accada sul campo di battaglia. Smith replica che l’aviazione alleata sarà in grado di risolvere ogni cosa.’Dovrete limitarvi a difendervi dagli attacchi germanici’ – aggiunge – ‘e a intralciare il più possibile i loro movimenti e le loro retrovie. Noi ci occuperemo del resto’.

“Cerco poi di carpire informazioni sulle eventuali località in cui intendono sbarcare e faccio presente che è necessario provvedere alla sicurezza della famiglia reale. C’è il pericolo che il governo Badoglio venga spazzato via da un colpo di mano germanico. Dal momento che risulta indispensabile trasferire il governo in un’altra località, è necessario preparare le vie di fuga. In pratica, la località in cui il governo dovrà rifugiarsi dovrà essere scelta in sintonia con gli Alleati. Ciò dipenderà da dove intendono effettuare il primo sbarco.

“Non ricevo alcuna risposta, ma mi chiedono dove potrebbe dislocarsi il governo Badoglio nel caso gli Alleati decidano di sbarcare nei pressi di Roma. Si apre una discussione sulle varie alternative. Ci troviamo d’accordo che, in ogni caso, sarà opportuno trasferire il re e Badoglio in Umbria o in Abruzzo, ossia lontano dalle linee di comunicazione germaniche. Secondo Smith, tali linee dovranno poi trasformarsi in vie di fuga. A questo punto i diplomatici abbandonano la discussione e lasciano il campo ai militari. Mi interrogano sulla dislocazione delle truppe germaniche. Naturalmente conoscono già le risposte. Non mi fanno nessuna domanda sulle truppe italiane. Rimaniamo d’accordo che la risposta del governo italiano dovrà giungere a Londra e ad Algeri entro e non oltre il 30 agosto.

“Ci congediamo alle ore 19. Nel salutarmi, il generale Smith si congratula con me per il valore dimostrato dalle truppe italiane nelle retrovie germaniche durante lo sbarco in Sicilia. È cordiale e si dice convinto che stia iniziando una nuova fase di collaborazione reciproca tra i nostri due paesi. Lo ringrazio e ed esprimo la medesima speranza. La sera del 20 agosto mi reco dal ministro Prunas (che non avevo ancora incontrato su esplicita richiesta degli ambasciatori Hoare e Campbell). Lo metto al corrente dei contatti intercorsi tra gli Alleati e il governo Badoglio, ma non menziono la proposta di armistizio.

“Gli chiedo subito di interrompere ogni suo negoziato con gli angloamericani. Scostarsi dagli accordi da me intavolati sarebbe sconveniente. Secondo gli Alleati, infatti, i negoziati con Prunas sono stati un totale fallimento. Al momento, solo i militari italiani sono in grado di condurre i negoziati. È questo il desiderio di Eisenhower. Prunas comprende al volo e mi assicura che agirà di conseguenza. Sono convinto che i tedeschi non riusciranno a catturarmi a Lisbona. Ma devo stare molto attento, perché tra i diplomatici inviati ad incontrare gli italiani rimpatriati dal Cile vi sono persone alquanto sospette. Campbell e Prunas sono preoccupati sul mio conto: i metodi germanici sono terribili.

“Il mio viaggio di ritorno in treno viene posticipato di un giorno. Viene quindi ridotto di un giorno il tempo a disposizione del governo italiano per prendere una decisione. La cosa preoccupa Campbell. Decide quindi di telegrafare al comando dell’aviazione alleata perché si astengano dal bombardare il treno su cui viaggio. Il tempo è prezioso. Durante il viaggio mi preoccupo soprattutto di nascondere i documenti e di pensare ad un buon pretesto nel caso i tedeschi decidano di arrestarmi. Ma tutto fila liscio e arrivo a Roma come previsto.

“Di ritorno a Roma, non trovo Ambrosio. Se ne sta andando (bella fortuna!). Faccio quindi il mio rapporto a Rossi. Gli sottolineo che è urgente che io incontri Badoglio la mattina stessa. È importante che sia presente anche Guariglia. Alle 11 veniamo ricevuti dal capo de governo. Gli riassumo gli eventi del mio viaggio e gli leggo i termini dell’armistizio. Ho la netta sensazione che Badoglio sia un imbecille. Guariglia obietta che non possiamo chiedere l’armistizio. Se lo facessimo, i tedeschi ci farebbero a pezzi. A suo parere, è meglio che gli Alleati invadano l’Italia senza che le truppe italiane oppongano resistenza (facendo, di fatto,la figura dei vigliacchi). La resa italiana verrà solo quando gli Alleati si saranno saldamente installati nel nostro territorio. È evidente che Guariglia è terrorizzato. Niente potrà andare per il verso giusto con un imbecille a capo del governo e con un vigliacco a dirigere la diplomazia italiana”.