19 settembre
Sono le 11 di mattina di una dolce domenica di fine estate. In piazza Italia a Boves, un paese di qualche migliaio di abitanti, cinquecento metri di altezza, nove chilometri a sud di Cuneo, dove comincia la montagna che porta al Col di Tenda, arriva un’auto con a bordo due soldati delle SS. Tre giorni fa è giunto in paese il maggiore Joachim Peiper e in piazza Italia ha convocato le autorità e tutti gli uomini. Parla con l’aiuto di un interprete e legge un bando: saranno considerati nemici i reparti dell’esercito italiano saliti sui monti e decisi alla resistenza. Non sono propriamente partigiani; o non lo sono ancora; sono ufficiali, sottufficiali e soldati della Quarta armata italiana che l’armistizio dell’8 settembre ha trovato in Provenza, di là dal Col di Tenda. Sono fuggiti sulla montagna per non farsi prendere dai tedeschi come tanti loro compagni. Peiper parla chiaro: se i soldati alla macchia non si presenteranno e la popolazione non li persuaderà a darsi prigionieri, brucerà tutto il paese.
Testimonianza di Ezio Aceto, ufficiale effettivo dell’esercito italiano1. “Il 19 settembre verso le 10 prendevo posto in un autocarro con alcuni ufficiali sbandati della quarta armata che si erano riuniti in val Colla in località san Giacomo. Dovevamo scendere a Boves per il giornaliero rifornimento del pane. Giunti nell’abitato, mentre ci dirigevamo in una panetteria, vedemmo in fondo a piazza Italia un’auto Lancia Aprilia. L’autovettura era ferma. Ne scorgemmo gli occupanti: due militari tedeschi. Li raggiungemmo. Si fecero catturare senza opporre resistenza. Ne disarmai uno, l’altro fu disarmato da uno dei miei compagni. Li facemmo salire sul nostro autocarro senza usare nei loro confronti violenza alcuna. Io mi posi al volante della loro autovettura; quindi facemmo ritorno in val Colla”.
Testimonianza di Luciano Dalmasso, impiegato. “Ricordo che sulla piazza c’erano molte persone. Alcuni dei presenti mostrarono perplessità circa l’opportunità di quanto era accaduto. Nessuno della popolazione aveva però partecipato al fatto”.
Testimonianza del tenente Ezio Aceto. “Provvidi io all’interrogatorio per accertare le ragioni della loro presenza nell’abitato di Boves. I due si limitarono a ripetere il loro numero di matricola”.
Testimonianza collettiva. “Alle 11.45 arrivarono a Boves, provenienti da Cuneo, due grossi automezzi carichi di soldati tedeschi. Due di loro fanno saltare, con bombe a mano, il centralino telefonico situato nel pressi del municipio. Qui le SS scendono dagli autocarri e risalgono la campagna vero il borgo di Sam Giacomo. È appena passato mezzogiorno quando comincia l’attacco. I tedeschi aprono il fuoco contro le formazioni militari italiane. Lo scontro durerà fino alle 12.30”.
Testimonianza del tenente Ezio Aceto. “Dopo le ore 12 mi trovavo in San Giacomo quando udii una serie di raffiche di arma da fuoco che provenivano dal fondo valle. Con l’autovettura presa ai due prigionieri scesi a valle in tempo per vedere il contrattacco col quale il sottotenente Ignazio Vian respinse il tentativo tedesco di entrare nella val Colla. In questo sconto durato non più di un quarto d’ora morì un nostro compagno, il marinaio Domenico Burlando di Genova, e un militare tedesco. La salma di quest’ultimo fu abbandonata sul posto dai suoi compagni”.
Testimonianza di Michelina Viglietti in Bianco, proprietaria del bar pasticceria di piazza Italia. “Le SS rientrano a Boves verso le ore 13. Poco dopo arriva il grosso del reparto comandato dal maggiore Peiper. Una parte dei militari, fra i quali due ufficiali, entrarono nel nostro bar e si trattennero una diecina di minuti. Si cerca inutilmente il commissario prefettizio. Viene allora convocato il parroco don Giuseppe Bernardi con l’industriale Antonio Vassallo. Peiper li vuole inviare dai partigiani per chiedere il rilascio dei due militari tedeschi catturati al mattino e la loro macchina, nonché la consegna del ferito tedesco”.
Testimonianza di Luigi Dalmasso, autista. “Alle ore 14 del 19 fui incaricato dal maresciallo dei carabinieri di Boves di condurre con la mia vettura di servizio il parroco don Giuseppe Bernardi e il signor Antonio Vassallo presso il gruppo dei nostri militari a Castellar”.
Testimonianza collettiva. “Peiper promette che in caso di successo dell’ambasceria risparmierà Boves; in caso contrario la distruggerà. Vassallo chiese una garanzia scritta e il maggiore Peiper disse che la parola di un ufficiale tedesco valeva quella di tutti gli italiani”.
Testimonianza di Luigi Dalnasso, autista. “Accompagnai subito don Bernardi e il signor Vassallo a Castellar, dopo aver preparato una bandiera bianca con una tovagliolo da tavola e un manico di scopa”.
Testimonianza del tenente Ezio Aceto. “Tra le 14 e le 15 arrivò a Castellar un’auto guidata da Dalmasso padre con parroco e Vassallo. Nella piazza del paese si riunirono il sacerdote del paese, il tenente Vian e altre cinque o sei persone: Gli ambasciatori spiegarono che bisognava restituire i militari tedeschi e il loro equipaggiamento se si voleva evitare una massiccia rappresaglia da parte tedesca. Io mi opposi, sostenendo che gli ostaggi erano una garanzia. Qualcuno non era d’accordo. Prevalse la tesi di restituire gli ostaggi. Il tenente Vian, che aveva assunto il comando della valle, dette ordine di restituire i militari tedeschi col loro equipaggiamento e la loro autovettura. Uno dei prigionieri prese posto sulla Lancia Augusta con don Bernardi e l’altro sulla Fiat 1100 col Vassallo”.
Testimonianza di Luigi Dalmasso, autista. “Verso le 15 ripartimmo alla volta di Boves. Sulla mia auto presero posto don Bernardi e uno dei prigionieri con gli occhi bendati. L’altro prigioniero, anch’egli con gli occhi bendati, prese posto sulla 1100. Giungemmo a Boves verso le 15.15. Io feci scendere don Bernardi e il militare tedesco. Mio figlio, anch’egli autista, aveva già riportato con la sua macchina la salma del militare tedesco morto”.
Testimonianza collettiva. “Con la riconsegna don Bernardi e Vassallo avevano compiuto la loro missione, ma i due ambasciatori vengono trattenuti e guardati a vista davanti al monumento ai caduti in piazza Italia. Nonostante la restituzione Peiper dà ordine di iniziare la rappresaglia contro il paese e i loro abitanti. Piccoli gruppi di SS sfondano le porte delle case, spargono benzina sulle masserizie, appiccano il fuoco e sparano. Una parte degli abitanti dopo la distruzione del centralino telefonico e il combattimento di mezzogiorno sono fuggiti in campagna. In paese sono rimasti i vecchi e i malati. Intanto Peiper batte con l’artiglieria le posizioni dei militari italiani a nord del paese”.
Il giorno dopo la rappresaglia nazista si fa il bilancio della strage: 350 case incendiate e distrutte, 24 persone uccise. Fra di loro don Bernardi a Antonio Vassallo. I due cadaveri vengono trovati carbonizzati. Peiper ha fatto uccidere anche i due ambasciatori.
1 Questa testimonianza scritta e le altre che seguono furono portate dagli avvocati nominati dal Comune di Boves al tribunale di Stoccarda che il 23 dicembre 1968 doveva aprire il processo contro i responsabili della strage del 19 settembre 1943, identificati in Joachim Peiper, Otto Dinse e Erhard Suhes. Il processo non si svolse. Il tribunale, preso atto della sentenza istruttoria, dichiarò il “non luogo a procedere”. Le testimonianze si possono ascoltare in voce nel sito di Rai scuola www.scuola.rai.it
19 settembre – Di più
– A Boves le SS di Peiper tornarono alla fine dell’anno e fra il 31 dicembre e il successivo 3 gennaio dettero fuoco alle case che non erano state distrutte dagli incendi del 19 settembre. L’arrivo fu improvviso e non tutti gli abitanti riuscirono a fuggire. I morti di questa seconda strage furono 59, più di quelli della strage precedente.