27 luglio
Sulla riunione del Gran Consiglio del fascismo, sul dibattito e sulle conclusioni sono corse nella giornata di ieri tante voci, ma di preciso e di ufficiale non si sa niente. Oggi, finalmente, i giornali (ma non tutti e non i giornali radio) pubblicano un comunicato, trasmesso stamani presto dalla Stefani ma senza indicazione della fonte.
La fonte è Dino Grandi, che lo ha scritto, in assenza di altri testi, e per tutta la giornata di ieri ha insistito perché venisse reso pubblico. Contrario il governo, contrario perfino il Quirinale; del voto che nel Gran Consiglio del fascismo ha messo in minoranza Mussolini e ha aperto la crisi del regime fascista è meglio – si dice – non parlare. Grandi ha allora un’idea; consegna il testo, e lo spiega, ai rappresentanti diplomatici della Spagna e della Svizzera e li prega di passare il comunicato alla stampa dei loro paesi1. Stamani il governo Badoglio si è quindi visto costretto a dare il via alla Stefani che da ieri lo teneva nel cassetto, limitandosi a invitare i giornali a non pubblicarlo o a pubblicarlo senza dargli rilievo. Il testo è questo:
“Il 24 luglio 1943 si è riunito a Palazzo Venezia il Gran Consiglio del Fascismo, che non era stato più convocato dal 7 dicembre 1939, cioè da prima dell’entrata in guerra dell’Italia. Erano presenti: Mussolini, De Bono, De Vecchi Suardo, Grandi, Scorza, De Marsico, Acerbo, Biggini, Pareschi, Gianotti, Polverelli, Federzoni, Tringali-Casanova, Balella, Frattari, Gottardi, Bignardi, De Stefani, Rossoni, Bottai, Farinacci, Marinelli, Alfieri, Ciano, Buffarini, Albini, Galbiati, Bastianini.
“All’inizio della riunione, che è cominciata alle ore 17, il Capo del Governo ha fatto una relazione sulla situazione politica e militare. Dopo di che il Presidente della Camera, Grandi, ha presentato ed illustrato il seguente ordine del giorno che portava,oltre la firma di Grandi, quelle di Federzoni, De Bono, De Vecchi, De Marsico, Acerbo, Pareschi, Cianetti, Ciano, Bottai, Balella, Gottardi, Bignardi, De Stefani, Rossoni, Marinelli, Alfieri, Albini, Bastianini:
“II Gran Consiglio, riunendosi in questi giorni di supremo cimento, volge innanzi tutto il suo pensiero agli eroici combattenti d’ogni arma, che, fianco a fianco con la fiera gente di Sicilia, in cui più alta risplende l’univoca fede del popolo italiano, rinnovano le nobili tradizioni di strenuo valore e d’indomito spirito di sacrificio delle nostre gloriose Forze Armate. Esaminata la situazione interna ed internazionale e la condotta politica e militare della guerra,
“proclama il dovere per tutti gli italiani di difendere ad ogni costo l’unità, l’indipendenza, la libertà della Patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni dal Risorgimento ad oggi, la vita e l’avvenire del popolo italiano;
“afferma la necessità dell’unione morale e materiale di tutti gli italiani in quest’ora grave e decisiva per i destini della Nazione;
“dichiara che a tale scopo è necessario l’immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali;
La facciata della cartella (intestata a “Segreteria particolare del Duce”) che Mussolini aveva con sé quando aprì il Consiglio nazionale; la scritta è autografa.
Le firme dei 19 consiglieri che approvarono l’ordine del giorno di Dino Grandi.
“invita il Capo del Governo a pregare la Maestà del Re, verso la quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la Nazione, affinché egli voglia, per l’onore e per la salvezza della Patria, assumere con l’effettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare e dell’aria, secondo l’articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre intuizioni a lui attribuiscono e che sono sempre state in tutta la nostra storia nazionale il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia”.
“Il Presidente della Camera, Grandi, domandava sull’ordine del giorno la votazione per appello nominale.
“Un secondo ordine del giorno era successivamente presentato dal Segretario del Partito, Carlo Scorza, ed un terzo ordine del giorno da Roberto Farinacci.
“La discussione che ha seguito è durata ininterrottamente dieci ore, cioè fino alle ore tre antimeridiane del 25 luglio. Alla fine di essa l’ordine del giorno presentato da Grandi ha avuto 19 voti favorevoli, contrari 7, ed uno astenuto”.
Il testo dell’ordine del giorno approvato dal Gran Consiglio è molto vago e sarebbe di difficile interpretazione se non ci fossero i comunicati del 25 sera sulle dimissioni di Mussolini (non ancora sull’arresto) e sull’incarico a Badoglio di guidare un nuovo governo. Ma è soprattutto un testo che manca di molti punti importanti che caratterizzavano la versione che Grandi aveva progettato e in un primo tempo discusso con i camerati a lui più vicini.
Questo è il testo autografo dell’ordine del giorno di Dino Grandi, ultima versione, approvato a maggioranza dal Gran Consiglio del fascismo la notte tra il 24 e il 25 luglio.
In quel testo2 si diceva che il capo del governo doveva “esercitare le funzioni nei limiti fissati dallo Statuto”, che doveva essere “abolito il regime totalitario e data a tutti i partiti politici la libertà di svolgere la loro attività” e che doveva essere “garantita a tutti i cittadini indistintamente la loro uguaglianza di diritti e di doveri di fronte alla legge”.
È questa l’intenzione di Badoglio, dei militari e del re? Il nuovo governo si è riunito stamani per la prima volta nel palazzo dl Viminale. Diciassette ministri, nessun politico o rappresentante dell’antifascismo; tutti tecnici, burocrati e militari; tutti, ovviamente, con la tessera del Partito fascista. Ministro degli esteri è Raffaele Guariglia, che è ambasciatore in Turchia e arriverà a Roma dopodomani 29. Agli interni è Bruno Fornaciari, già prefetto di Trieste e poi di Milano. Alla giustizia Gaetano Azzariti, un magistrato, già direttore generale dello stesso ministero. Alle finanze Domenico Bartolini, Provveditore generale dello stato. Agli scambi e valute Giovanni Acanfora, direttore generale della Banca d’Italia. Alle corporazioni, un istituto voluto da Mussolini, Leopoldo Piccardi, consigliere di stato. All’educazione nazionale Leonardo Severi, docente universitario, già direttore generale dello stesso ministero. Ai lavori pubblici Domenico Romano, capo gabinetto del suo predecessore fascista. Alla cultura popolare (il famigerato “Minculpop”) Guido Rocco, dal 1936 direttore della stampa estera allo stesso ministero. All’agricoltura Alessandro Brizi, già capo gabinetto del ministro fascista Acerbo. Alla guerra, alla marina e all’aviazione tre militari: il generale Antonio Sorice, l’ammiraglio Raffaele De Courten e il generale Renato Sandalli. Alle colonie e Africa italiana (che non ci sono più) il generale Melchiade Gabba. Un altro generale, Federico Amoroso, alle comunicazioni e un altro, Carlo Favagrossa, lo stesso dell’ultimo governo Mussolini, alla produzione bellica. Capo della polizia viene nominato Carmine Senise; era capo della polizia con Mussolini fino a tre mesi prima, quando, il 14 aprile, è stato cacciato con l’accusa di non aver represso col dovuto rigore gli scioperi di marzo a Torino e a Milano.
Anche su tutto questo Dino Grandi non è d’accordo. Alla guida del governo ha suggerito, nel colloquio col duca Acquarone la notte tra il 25 e il 26, il generale Caviglia, che contribuì al successo di Vittorio Veneto alla fine della prima guerra mondiale e mise fine nel 1920 all’impresa dannunziana di Fiume. “Badoglio” ha detto Dino Grandi3 “è stato per quasi vent’anni il capo di stato maggiore di Mussolini. Lo era quando Mussolini ha dichiarato guerra all’Inghilterra e alla Francia. Gli alleati non possono avere fiducia in lui”. Grandi ha dato dei buoni nomi anche per la composizione del governo: Alberto Pirelli, l’industriale, agli esteri (“è persona stimata da inglesi e americani”) e poi, fra gli altri, Alcide De Gasperi, Paolo Cappa, Luigi Gasparotto, Giuseppe Paratore4, personaggi, insomma, non compromessi col fascismo.
I militari, e il re con loro, hanno invece altre idee: il loro obiettivo è di tenere in mano il potere e tirare avanti il più possibile senza problemi di democrazia; chiedere la pace agli Alleati e salvare la monarchia. Badoglio vuole fare tutto da sé; anche il suo consiglio dei ministri si riunirà una seconda volta il 5 agosto, e poi mai più.
Nella sua prima riunione di oggi il governo ha deliberato lo scioglimento del partito fascista e della Camera dei fasci e delle corporazioni e la soppressione del Gran Consiglio del fascismo e dei tribunali speciali. Tutte decisioni ovvie (ma non ancora è decisa l’abrogazione delle leggi razziali); meno ovvio, ma significativo, è il seguito, cioè il divieto di costituire associazioni politiche, cioè i partiti, e addirittura di portare una qualsiasi insegna politica di partito – il cosiddetto distintivo – all’occhiello della giacca.
Già ieri un telegramma è stato indirizzato ai prefetti dal ministero degli interni: i loro poteri sono demandati alle autorità militari, alle quali viene impartito l’ordine di “considerare i dimostranti come ribelli” e di far sparare contro di loro “senza preavviso”; sono proibite le riunioni di più di tre persone, sono considerati decaduti tutti i permessi di porto d’arme, i portoni delle case devono essere tenuti aperti e illuminati giorno e notte.
Una circolare, che viene attribuita al Capo di stato maggiore dell’esercito, il generale Mario Roatta, ordina di reprimere nella maniera più decisa ogni manifestazione “che turbi l’ordine pubblico”; anche i cortei e gli assembramenti5. Il testo della circolare contiene frasi come queste: “Poco sangue versato inizialmente risparmia fiumi di sangue in seguito”; “siano assolutamente abbandonati i sistemi antidiluviani quali i cordoni, gli squilli, le intimidazioni e la persuasione”; “i reparti devono assumere e mantenere sempre grinta dura”; “si proceda in formazione di combattimento e si apra il fuoco a distanza, anche con mortai e artiglierie”; “non è ammesso il tiro in aria; si tiri sempre a colpire, come in combattimento”: “i caporioni e gli istigatori del disordine, riconosciuti come tali, siano senz’altro fucilati, se presi sul fatto”; “il militare impiegato in servizio d’ordine che compia il minimo gesto di solidarietà con i dimostranti… venga immediatamente passato per le armi”.
La gravità di queste disposizioni la si vedrà subito domani 28 a Bari, nell’episodio che forse è il più pesante di questi giorni, anche per le personalità coinvolte. La Gazzetta del Mezzogiorno (il direttore Pupino Carbonelli, nominato come tutti gli altri dal Partito fascista, ha pensato bene di andarsene) esce con un articolo scritto dal caporedattore Luigi De Secly. Il titolo è “Viva la libertà”. Nell’articolo, fra l’altro, si esaltano gli antifascisti baresi; sono importanti personalità della cultura: Guido De Ruggiero, lo storico della filosofia; Tommaso Fiore, studioso meridionalista, collaboratore della Rivoluzione liberale di Piero Gobetti; Giorgio Fenoaltea; Federico Comandini; tutti esponenti del movimento liberalsocialista, che di qui a poco sfocerà nel Partito d’azione, e tutti detenuti politici, in carcere a Bari. In prima pagina la Gazzetta ne annuncia l’imminente scarcerazione.
In mattinata un centinaio di persone, in prevalenza giovani, si ritrova in piazza Umberto; hanno deciso di andare alla caserma Rossani, in via 28 ottobre, dove è il carcere militare, per festeggiare i detenuti che si ritiene stiano per essere liberati. Un gruppo, con De Secly, è partito dalla casa dei Laterza, gli amici di Benedetto Croce e proprietari della casa editrice che da loro ha preso il nome; un altro gruppo – sono tutti studenti – si è formato davanti al liceo classico “Orazio Flacco”. In Corso Vittorio Emanuele incontrano alcuni soldati e li portano in trionfo; davanti alla libreria Laterza qualcuno distribuisce coccarde tricolori. Alle 13 i dimostranti arrivano in piazza Umberto; lì vicino, in via Nicolò dell’Arca, c’è la sede della Federazione del Fascio; la strada è sbarrata da un reparto del nono reggimento autieri, con i fucili puntati e le pallottole in canna.
I dimostranti vogliono andare al carcere, non assaltare la sede fascista. Improvvisamente si sentono alcuni colpi di pistola. I giovani sono disarmati. Chi ha sparato? Forse qualcuno dalle finestre del Fascio? Forse un soldato impaurito? Certo, altri soldati sparano. Ma chi ha ordinato il fuoco? La sparatoria dura pochi minuti. Sul selciato una sessantina di corpi; cinque morti; altri sette moriranno in ospedale.
I detenuti politici vengono liberati nel pomeriggio; anche Tommaso Fiore col figlio Vittore. Non c’è a salutarli, all’uscita, il figlio minore, Graziano. È all’ospedale, gli dicono. All’ospedale lo trovano in una improvvisata camera ardente; è uno dei morti.
Nel pomeriggio è arrestato Luigi De Secly, il caporedattore della Gazzetta del Mezzogiorno, l’autore dell’articolo dal titolo “Viva la libertà”. È imputato di incitamento all’insurrezione6.
Il difetto delle reti di comunicazione, e quindi delle informazioni, e la censura preventiva sui giornali imposta dal governo impediscono di sapere quello che si saprà solo più tardi: dal 26 al 30 luglio gli interventi della forza pubblica causano 83 morti e 308 feriti; gli arrestati sono più di 1500. Le prime vittime della democrazia o le ultime della dittatura?
Il senso di quello che sta succedendo è chiaro nel comportamento del direttore della Stefani, l’agenzia che per diciannove anni è stata lo strumento della propaganda fascista. Venerdì 24, poche ore prima della riunione dl Gran Consiglio, Suster ha inviato una nota7 a tutti i corrispondenti dell’agenzia per invitarli a registrare “adeguatamente” soprattutto quelle cronache locali che “possono acquistare un significato e un valore politico, di fede nella vittoria e di determinazione inflessibile di resistere a qualsiasi pressione nemica”. Stamani, scomparso Mussolini, Suster ha inviato agli stessi indirizzi un lungo telegramma8: “Mutamento regime avvenuto Italia per volontà Re richiesto ed attuato per potenziate tutte risorse et possibilità nazionali così da portare unione nazione sotto egida dinastia stop fiammata patriottica che pervaso paese conferma et dimostra esercito costituisce fulcro verso nazione invasa stop norma desiderio espresso dal Sovrano nessun risentimento nessun livore deve affiorare per passato vicino aut lontano nessuna questione personale deve essere sollevata stop ricordare che non si tratta di rivoluzione anti questo aut quello ma di logiche deduzioni et conseguenze tratte da situazione generale stop agenzia Stefani continua sua attività quale organo interesse pubblico et nazionale”.
È stato proprio il ministro della Real casa, il duca Acquarone – racconta Suster nel suo diario9 – a pregarlo di assicurare il funzionamento della Stefani; ed è stato il nuovo ministro della cultura popolare, Guido Rocco, a confermarlo telegraficamente nella carica di direttore; anzi, visto che Manlio Morgagni è morto, lo ha promosso direttore generale.
1 Lo racconta Dino Grandi in 25 luglio 1943, già citato.
2 Dino Grandi, ibidem.
3 Dino Grandi, ibidem.
4 Alcide De Gasperi (1881-1954), bibliotecario dal 1930 della Biblioteca apostolica vaticana, è già noto come uomo politico antifascista; nell’ottobre del 1942, in un convegno clandestino a Milano, ha fondato, insieme a Piero Malvestiti, Stefano Jacini, Giovanni Gronchi, la Democrazia cristiana, il nuovo partito dei cattolici sulle ceneri del vecchio Partito popolare di don Sturzo; Paolo Cappa (1888-1956) è stato, prima del fascismo, direttore dell’Avvenire d’Italia e deputato del partito popolare per tre legislature; Luigi Gasparotto (1873-1960) è stato ministro della guerra nel 1921; Giuseppe Paratore (1876-1967) è stato deputato per sei legislature prima dell’avvento del fascismo e ministro del tesoro nel governo Facta, l’ultimo governo prima di Mussolini.
5 Il testo è in Ruggero Zangrandi, 1943: 25 luglio – 8 settembre, Feltrinelli 1964. Se i morti e i feriti non furono di più, fu perché la maggior parte degli ufficiali, molti di complemento, contravvennero agli ordini e si attennero a criteri di maggiore prudenza; e così anche gli stessi soldati.
6 Un lungo resoconto dei fatti è in Una finestra sulla storia, 1929-1946 di Nicola Macellaro, Edisud, 1989.
7 Roberto Suster, Diario, già citato.
8 Roberto Suster, ibidem.
9 Roberto Suster, ibidem.
27 luglio – Di più
– Carlo Valle ci segnala il libro “I documenti terribili. Il 25 luglio” a cura di Pietro Zullino, Mondadori, 1973. Ne traiamo i testi del telegramma inviato la mattina del 27 luglio ai prefetti e ai questori dal ministro dell’interno Bruno Fornaciari e il testo di due telegrammi del prefetto di Milano indirizzati al ministro nella stessa giornata. Raccontano di manifestazioni popolari di cui i giornali, ancora sottoposti a censura, non parlano e di provvedimenti governativi per garantire l’ordine pubblico che non si spiegano soltanto con la paura di azioni eversive organizzate dal Partito comunista e con la preoccupazione che la non repressione di dimostrazioni popolari inneggianti alla pace possano essere interpretate dalle autorità tedesche come un eguale orientamento del governo; in realtà c’è nel nuovo potere una seria mancanza di cultura democratica; non per niente molti sosterranno che, dopo venti anni di adesione al fascismo, il favore del re e dei suoi collaboratori è per un sistema autoritario e non di democrazia parlamentare. Si veda anche il “29 luglio – Di più”.
La circolare del ministro dell’interno: “È necessario agire massima energia perché attuale agitazione non degeneri in movimento comunista o sovversivo. Occorre far rispettare tutti costi ordinanze autorità militari che vietano assembramenti, impedire assalti a cittadini et abitazioni et manifestazioni sovversive in genere anche se si debba ricorrere uso armi. Occorre anche sequestrare subito giornali che eccitino comunque spirito pubblico. Impiegare tutta l’energia per il bene della patria”.
Alle 16 il prefetto di Milano, Uccelli, telegrafa al ministro dell’Interno, “Per giudicare situazione che va aggravandosi Milano est inopportuno fermarsi soltanto considerare episodi cronaca nera. Elementi sovversivi vanno organizzando la caccia all’uomo, si colpiscono vecchi fascisti et gerarchi, si minacciano industriali et cellule sovversive agiscono apertamente. Si sono saccheggiate, incendiate case fascisti et privati cittadini. Il Corriere della Sera oggi fatto sequestrare con fermo su gerente contiene una prova che è il più spinto strumento alla lotta di classe e al processo al passato regime. Questo giornale ha pubblicato stamane la notizia di una riunione et di un appello dei partiti sovversivi comunismo in testa. Nelle piazze milanesi hanno ieri arringata la folla scaturita da ogni più bassa sentina uomini di fede sovvertitrice a cominciare da comunista Giovanni Roveda et dal figlio di Amendola. Vie della città sono state intitolate ai nomi di Matteotti, di Amendola et compare sugli abiti di donna in blusa rossa et sul petto di uomini emblema falce e martello. Occorre stroncare con la massima energia queste odiose dolorose congiure contro la patria”.
Alle 22.30 un altro telegramma del prefetto di Milano: “Situazione ordine pubblico si est oggi aggravata. Sospensione lavoro in molti stabilimenti Milano et Sesto San Giovanni, larga diffusione manifestini, assembramenti et tentativi dimostrazione avanti stabilimenti e pubbliche piazze mostrano palesemente intenso lavoro organizzazione masse per coordinare movimento con unità indirizzo sovversivo. In molti punti della città folti gruppi scalmanati hanno svaligiato appartamenti, cantine, negozi sotto pretesto rappresaglie contro fascisti. Truppa ha dovuto fare uso armi. Lamentansi diversi feriti fra cui alcuni militari. Sparatorie continuano nella sera con vivo allarme popolazione. Decorsa notte detenuti comuni carceri Milano appiccarono incendi subito domati vigili fuoco. Truppa intervenne facendo uso armi. Carcere danneggiato et affollato non può accogliere altri detenuti. Sollecitato sfollamento. Forza attualmente disposizione comando militare è insufficiente fronteggiare eventi”.