27 settembre
Rocca delle Caminate è un’espressione che fa effetto, così come fa effetto, visto da lontano, su un’altura, il castello che ha quel nome, a quattro chilometri da Predappio, dove Mussolini nacque nel 1883, e a una quindicina a sud di Forlì. Ricostruito tra il 1924 e il 1927, in stile medievale, sulle macerie di un’antica fortezza, il castello delle Caminate è stato regalato a Mussolini dai fascisti romagnoli perché ne facesse la sua sede estiva. La cerimonia di donazione è avvenuta il 30 ottobre del 1927; settantamila firme e un faro, in cima alla torre, che emanava raggi di luce tricolore. La luce si vedeva ad alcune diecine di chilometri di distanza, accesa in tutte le grandi occasioni; nei primi anni, sempre, quando Mussolini era in sede.
Alla Rocca delle Caminate si è riunito oggi il primo governo (il “governo nazionale fascista” dice il comunicato) di quello “Stato fascista repubblicano” che il prossimo 1o dicembre verrà chiamato “Repubblica sociale italiana” e tutti chiameranno Repubblica di Salò.
Da Monaco Mussolini è arrivato tre giorni fa in aereo a Forli e alla Rocca ha sùbito stilato la lista del governo e fatto diramare le convocazioni. Ministro degli esteri lui. Gli altri componenti del gabinetto sono: Alessandro Pavolini, segretario del nuovo Partito fascista repubblicano: Guido Buffarini Guidi, ministro dell’interno; Rodolfo Graziani, guerra; Fernando Mezzasoma, cultura popolare; Domenico Pellegrini Giampietro, finanze; Antonino Tringali Csanova, giustizia; Carlo Albero Biggini, educazione nazionale; Silvio Gai, economia corporativa; Edoardo Moroni, agricoltura; Augusto Liverani, comunicazioni. Francesco Maria Barracu è il sottosegretario alla presidenza; Serafino Mazzolini il sottosegretario agli esteri1.
Il comunicato con la lista dei ministri (“in attesa della Costituente che sarà prossimamente convocata”) è stato trasmesso tre giorni fa dalla Stefani, ma il direttore dell’agenzia non è più Roberto Suster, che nello stesso giorno il ministro Mezzasoma ha sostituito con Orazio Marcheselli2. Alle 12 il comunicato è stato trasmesso anche dalla radio.
Sempre tre giorni fa, il 23, l’ambasciatore tedesco Rahn ha convocato a mezzogiorno nella sede dell’ambasciata di Germania i commissari ministeriali, cioè i facenti funzione di ministri in quel simulacro di governo che è rimasto a Roma dopo la fuga di Badoglio. L’ambasciatore Augusto Rosso, che è il commissario agli esteri, racconterà in una nota riservata3 quello che ha detto Rahn: “Il Duce ha deciso di formare un governo provvisorio e di indire nel prossimo mese di ottobre una Assemblea costituente4 che deciderà sulla forma di governo in Italia. Ciò potrà mettere un certo numero di persone – e forse anche qualcheduno di voi – davanti a dei problemi di coscienza che potranno a suo tempo essere risolti. Considerando mio compito principale risparmiare al popolo italiano ulteriori sofferenze, ho formulato al Maresciallo Kesselring, che le ha approvate, le seguenti proposte: la sede del governo sarà nell’Italia settentrionale; l’attività di esso si svilupperà a seconda delle possibilità; Roma è zona di guerra, pertanto essa appartiene alla giurisdizione del Comando militare germanico, cui è demandato di impartire tutte le necessarie istruzioni; il maresciallo Kesselring ha ordinato che i Commissari rimangano in carica. Questo è un ordine militare. Sarò prossimamente preciso in ordine alla collaborazione fra il governo italiano ed i commissari stessi. Non vedo ancora come, tecnicamente, il governo italiano potrà estendere la propria attività fino a Roma; perciò ho deciso di lasciare tutto immutato, fatta eccezione per alcuni ministeri – come quello della cultura popolare – la cui attività è soprattutto politica. Comunque tutto ciò sarà oggetto di prossime comunicazioni ai singoli commissari interessati. Il maresciallo Kesselring chiede ai commissari la migliore collaborazione per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza”.
Degli stessi temi ha scritto, con ben diversa rigidità, l’ambasciatore Rahn nello stesso giorno 23 in un “documento riservatissimo”5 inviato al suo governo: “Alle ore 12 riunirò i commissari dei singoli ministeri nei locali dell’ambasciata, dove darò loro notizia della creazione di un nuovo governo che avrà sede nel Nord Italia. Esso risiede ora nella regione di operazioni. I commissari dovranno continuare nelle loro funzioni. Chi si rifiuterà di prestare servizio dovrà essere arrestato. Sulla forma della collaborazione tra essi ed il nuovo governo verranno comunicate ulteriori decisioni. Alle ore 12.5 la divisione Piave, concentrata in Villa Borghese, verrà informata dell’ordine del nuovo governo italiano di deporre le armi e di marciare in riga alla stazione dove saranno pronti i mezzi di trasporto verso il nord. Ad ogni eventuale resistenza verrà opposta la forza delle armi (Divisione paracadutisti). Al posto del generale Calvi verrà nominato il generale Chieli, commissario alla smobilitazione italiana; avrà sede in qualità di commissario al ministero della guerra. La polizia ed i carabinieri saranno posti al comando del generale Presti. Entrambi i generali riceveranno istruzioni dal Generale Stahel. Su questo progetti vi è accordo tra le autorità militari germaniche, l’Obergruppenfuher ed il signor Pavolini6. È necessario che il nuovo governo, che qui per il momento non potrà acquisire alcuna autorità, si trasferisca al più presto possibile nel Nord Italia, poiché bisogna impedire che la polizia ed i funzionari adottino una attitudine di resistenza passiva”.
Nello stesso documento l’ambasciatore ha scritto anche che “alle 11,45 il comandante germanico della città, generale Stahel, si recherà dal comandante italiano, Generale Calvi di Bergolo, al ministero della guerra, dove saranno convocati anche gli ufficiali al comando della divisione Piave. Costoro verranno informati che il Duce ha costituito un nuovo governo e verrà fatta loro la richiesta se siano disposti o meno ad aderire al governo stesso. Se a questa domanda sarà risposto negativamente; allora il generale Stahel comunicherà loro in forma cortese che essi non rivestono più le precedenti funzioni e che saranno trasferiti nel nord con le famiglie sotto protezione germanica, dove sarà loro preparato un comodo luogo di soggiorno. Nello stesso tempo il capo della polizia Senise e il generale Maraffa verranno arrestati dalle SS e trasportati a Nord”.
1 Alessandro Pavolini: Firenze 1903, fucilato a Dongo nel 1945, già ministro della cultura popolare; Guido Buffarini Guidi: Pisa 1895, fucilato nel 1945, già sottosegretario agli interni; Rodolfo Graziani: Frosinone 1982, morto nel 1954, già comandante delle truppe in Africa settentrionale; Fernando Mezzasoma; Roma, 1907, fucilato nel 1945, già consigliere nazionale del Pnf: Domenico Pellegrini Giampietro: Brienza 1895, Montevideo 1970, già sottosegretario alle finanze; Antonino Tringali Casanova: Livorno 1888, morto nel 1943, già ministro della giustizia; Carlo Alberto Biggini: Sarzana 1902, morto nel 1945, già ministro dell’educazione nazionale; Silvio Gai: Roma 1873, morto nel 1967, ingegnere industriale, senatore; Edoardo Moroni: Lucca 1902, morto in Brasile come cittadino argentino negli anno Settanta, già presidente della Federazione dei consorzi agrari; Augusto Liverani: Senigalli 1995, fucilato a Dongo nel 1945; Francesco Maria Barracu: Santu Lussurgiu 1995, fucilato a Dongo nel 1945, giornalista; Serafino Mazzolini: Arcevia 1995, morto a San Felice del Benaco nell’aprile 1945, già direttore generale del ministero degli esteri.
2 Orazio Marcheselli si era dimesso dall’agenzia lo stesso giorno della nomina di Roberto Suster alla direzione, l’11 gennaio del 1941. Direttore riteneva di dovere essere lui, forte degli appoggi che aveva al ministero della cultura popolare; così forte che al ministero trovò subito un posto, suscitando le ire del presidente della Stefani Manlio Morgagni, che si sentì offeso da quella decisione presa senza consultarlo.
Sul licenziamento di Roberto Suster e sulle sue reazioni si è fermato l’autore di questo libro in L’agenzia Stefani da Cavour a Mussolini, scritto in collaborazione con Franco Arbitrio e Giuseppe Cultrera e pubblicato nel 1999 e nel 2001 (seconda edizione) dalla casa editrice Le Monnier nella collana “Quaderni di storia fondati da Giovanni Spadolini”. Si veda, più giù, il sottocapitolo 27 settembre – di più. È interessante per capire come veniva intesa l’informazione in un sistema autoritario.
3 Il documento, poco noto, è nell’archivio del ministero degli esteri (AMAE-RSI b. 1).
4 L’assemblea costituente non fu mai convocata.
5 Anche questo documento è in AMAE-RSI.
6 Alessandro Pavolini, nuovo segretario del Partito fascista repubblicano.
Con la collaborazione di Franco Arbitrio
27 settembre – Di più
– Dal libro L’agenzia Stefani da Cavour a Mussolini (vedi nota 2):
“Il 24 il ministro della cultura popolare, che è Fernando Mezzasoma ed opera dal Nord, invia una lettera al Consiglio di amministrazione della Stefani e il suo presidente, Adelfo Luciani, immediatamente la fa avere in copia a Suster con una raccomandata a mano nella sua abitazione di via dei Monti Parioli 40: “In data odierna ho disposto che la direzione politica di codesta agenzia sia affidata al giornalista dottor Orazio Marcheselli in sostituzione del giornalista dottor Roberto Suster”.
“Il giorno dopo, Roberto Suster risponde alla “Spett. Società anonima Agenzia Stefani” per prendere atto della decisione e manifestare il suo disappunto (‘Nei 14 anni dacché appartengo alla Stefani e nei 34 mesi in cui la diressi regolai sempre con assoluta lealtà e senza interruzione alcuna sia la mia attività sia i suoi servizi secondo il solito concetto e con l’unica preoccupazione di tutelare, valorizzare, precorrere gli interessi della Nazione’) e nello stesso giorno scrive anche una lunghissima lettera al ministro Fernando Mezzasoma (lo chiama “Eccellenza”, ma gli dà del “tu”).
“È un testo importante per il concetto che Roberto Suster esprime sulle funzioni del direttore della Stefani: “Il direttore dell’agenzia ufficiosa di informazioni” scrive al ministro (ACS-FRS) “ha, sia pur su di un altro piano e per un diverso settore, le stesse funzioni pubbliche e l’identica figura giuridica del direttore della Zecca dello stato. Soltanto che quello stampa e divulga carta moneta garantita dalla Banca d’Italia, mentre questi dirama e diffonde notizie, avallate dal marchio dell’autenticità scrupolosa e controllata che è implicito nel prestigio e nelle funzioni dell’organismo”.
“Ovviamente non è piaciuto a Mezzasoma (e dalla lettera si capisce che glielo ha detto a voce) che Suster sia rimasto alla direzione dell’agenzia dopo il 25 luglio e abbia trasmesso le notizie dategli dal “governo dei traditori”. Perciò Suster insiste: la Stefani è “una specie di grande e preciso obiettivo fotografico, il quale registra con immediatezza in lettere quanto avviene nel quadro della vita nazionale e internazionale, mettendo ne più o meno a fuoco certi aspetti e particolari. Non è una invenzione o una innovazione mia, né tanto meno dipende dall’arbitrio del direttore o di chicchessia il discutere i soggetti delle riprese, dato che esse non vengono né colte negli studi dopo più o meno accurati montaggi, né si svolgono su trame e copioni prescelti dalla Stefani stessa”.
“Un’agenzia di informazioni, dunque, è come la Zecca o, peggio, come un laboratorio fotografico o cinematografico. E un’analogia di cui non si sa se è più grave l’ignoranza culturale e professionale o l’impudenza oppure l’una e l’altra. Molto più giusta e onesta, da un certo punto di vista, è la definizione che di un’agenzia statale di informazioni lo stesso Suster aveva dato in una lettera inviata il 15 ottobre 1938 al presidente Morgagni (ACS-FRS): “Una grande agenzia di informazioni come la Stefani, che non abbia ormai più soltanto un carattere commerciale e speculativo, ma che nell’atmosfera nazionale si inquadri e si identifichi con la vita e l’attività di un preciso periodo storico della collettività; che non si limiti a diramare fotograficamente comunicati e a ‘rifischiare’ le notizie che affluiscono, ma che ad ognuna di esse voglia infondere uno spirito proprio, distinguendole secondo uno specifico criterio; che infine non rappresenti soltanto un apparecchio automatico per la distribuzione del materiale, ma sia meglio e più di una fucina nella quale ogni avvenimento viene utilizzato come un astratto combustibile, atto a imprimere alla ruota delle cronache quella direzione e quella velocità che conviene al nostro paese”: un’agenzia cosiffatta, sostiene Suster, ha bisogno di una organizzazione particolare, in cui debbano apparire “elementi inscindibili l’esattezza, l’immediatezza, la competenza e la coscienza fascista”.
“Evidentemente le argomentazioni nuove di Suster, così in contrasto con quelle di un tempo, non convincono Mezzasoma e chi sta sopra di lui. Il 28 ottobre Mussolini ordina l’arresto di Suster (l’appunto del segretario particolare Giovanni Dolfin per il ministro dell’interno Guido Buffarini è in ACS-FRS) e il 18 novembre due agenti di polizia arrestano Suster nella sua abitazione e lo rinchiudono, come scriverà lui stesso, “nel Pio Istituto di San Gregorio, ai margini della Cloaca massima, un convento del 1500 trasformato dall’OVRA in prigione politica”, chiamata anche “centrale degli ostaggi”. Vi rimarrà 72 giorni, “altrettanto ingiusti quanto assurdi”, ma, come racconta, in buona compagnia.
“In realtà l’ex convento di san Gregorio era una prigione-albergo, dove i pasti erano serviti da cameriere con la crestina, i prigionieri potevano ricevere liberamente tutte le persone che desideravano e la sera giocavano a poker nella elegante sala di soggiorno. C’erano Virginia Bourbon del Monte dei principi di san Faustino, madre di Gianni Agnelli, la principessa Colonna di Cesarò, il senatore Alberto Bergamini, Donna Cora Caetani, la contessa Ippolita Solaro del Borgo, l’ex direttore del Messaggero Tommaso Smith; c’erano anche lo scrittore Ercole Patti e l’ex direttore di “Roma fascista” Ugo Indrio, dalle cui testimonianze Enzo Forcella ha tratto queste notizie nel suo libro postumo La Resistenza in convento (Einaudi)”.
– Franco Arbitrio fa notare che nel nuovo governo di Mussolini Rodolfo Graziani non era “ministro della guerra”, ma “ministro della difesa nazionale”. La dizione “ministero della guerra” è rimasta nel primo e secondo ministero Badoglio (ministri Sorice e Taddeo), nel primo e secondo ministero Bonomi (Casati), in quello Parri (Jacini), primo e secondo De Gasperi (Brosio), terzo De Gasperi (Cipriano Facchinetti). Finalmente nel quarto governo De Gasperi (2 febbraio-31 maggio 1947) i ministeri della guerra, della marina militare e dell’aeronautica furono riuniti in un unico ministero denominato “ministero della difesa” (ministro Luigi Gasparotto).