28 settembre
Nella palazzina al numero 145 di via Tasso, vicino alla piazza di San Giovanni in Laterano, sta per entrare uno numeroso gruppo di persone. Ci sono il dottor Dante Almansi, presidente delle Comunità israelitiche italiane, e il dottor Ugo Foà, presidente della Comunità israelitica di Roma; ci sono altri membri della Comunità (Marco Limentani, Giuseppe Gay, Settimio Gori), un orefice (Angelo Anticoli), due vigili urbani (Oreste Vincenti e Vincenzo Piccolo); anche un commissario di pubblica sicurezza (il dottor Gennaro Cappa) travestito da uomo di fatica come altri che trasportano parecchie cassette, che, dal modo in cui sono portate a mano, mostrano di essere pesanti. Dentro quelle cassette ci sono cinquanta chili e 300 grammi d’oro.
La palazzina di via Tasso a Roma, prima ufficio tedesco di reclutamento per la Germania, poi, dalla fine del 1943 al giugno 1944, carcere tedesco gestito dalle ‘SS’ in una foto del 1944 di Corrado Lampe.
La palazzina oggi: dopo la liberazione è diventata la sede del museo storico della Liberazione.
La lapide sulla facciata; vi si legge la seguente iscrizione:
QVESTA LAPIDE CONSACRI NEI SECOLI
IL LVUOGO
DOVE PIV’ INFIERI’ LA FEROCIA NAZISTA
PIV’ RIFULSE L’EROISMO DEI MARTIRI
——
L’ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA
A NOME DI TVTTI I COMBATTENTI DELLA LIBERTA’
POSE A PERENNE MEMORIA
IL V GIUGNO MCMXLV’.
Sono le 16. Dentro la palazzina, che è un ufficio tedesco di reclutamento di lavoratori italiani per la Germania e diventerà presto il carcere per gli interrogatori e le torture dei sospetti di attività antitedesca (uno dei tanti “palazzi tristi” dell’occupazione nazista dell’Italia), c’è un capitano delle “SS”, Kurt Schutz, c’è un orefice romano di cui non si è saputo mai il nome e c’è un altro ufficiale tedesco appena arrivato da Berlino con un corriere speciale. Su un tavolo una bilancia.
Ieri mattina domenica, alle 10, Dante Almansi e Ugo Foà sono stati chiamati dal capo del Servizio razza della questura di Roma, Gennaro Cappa, che li ha invitati a recarsi alle 18 a villa Volkonski; nel suo ufficio di “Sicurezza politica” il tenente colonnello Herbert Kappler aveva da fare importanti comunicazioni.
Alle 18 a villa Volkonski. Kappler conosce l’italiano e lo parla con accento forte e duro: “Voi e i vostri correligionari avete la cittadinanza italiana, ma noi tedeschi vi consideriamo unicamente ebrei e come tali nostri nemici. Però non sono le vostre vite e i vostri figli che prenderemo se adempirete alle nostre richieste. È il vostro oro che vogliamo per dare nuove armi al nostro paese. Entro 36 ore dovrete versarmene 50 chilogrammi. Se li verserete, non vi sarà fatto alcun male. In caso diverso, duecento fra voi verranno presi e deportati in Germania alla frontiera russa o altrimenti resi innocui”.
Herbert Kappler, nato a Stoccarda nel 1907, capo del Servizio di sicurezza tedesco a Roma dal 1939; nel 1944 capo della Gestapo; responsabile del massacro delle Fosse Ardeatine; processato nel 1947 da un tribunale militare italiano e condannato all’ergastolo; detenuto a Gaeta e poi nell’ospedale militare del Celio; da qui fuggito con la connivenza di molti nel 1977; morto a Soltau in Germania nel 1978.
Dante Almansi e Ugo Foà, che poi riferirà le parole di Kappler, rimangono sbigottiti, ma non allarmati quanto dovrebbero esserlo. Ancora non si hanno notizie di deportazioni di ebrei, ancora non si sa niente dei campi di concentramento, i lager, e dei forni di gassificazione. La cosa appare per ora uno scambio: 50 chili d’oro contro 200 ostaggi. Non si immagina quello che può accadere e che accadrà.
Dopo le leggi razziali del governo fascista e la sua politica antisemita, in Italia gli ebrei sono stati colpiti, finora, soltanto da sanzioni amministrative, per quanto pesanti, assurde e alcune addirittura ridicole. Il 10 novembre del 1938 un decreto del governo ha vietato i matrimoni degli italiani di “razza ariana” con cittadini ebrei; gli ebrei non possono ricoprire cariche pubbliche e non possono frequentare le scuole pubbliche né insegnare; sono sottoposti a limitazioni nell’esercizio di attività economiche: non possono fare i portieri in case abitate da ariani, essere titolari di agenzie d’affari, di agenzie di viaggio e turismo o di esercizi di mescita di alcolici; non possono gestire scuole di ballo, vendere oggetti di cartoleria; non possono fare gli affittacamere, detenere apparecchi radio, accedere alle biblioteche pubbliche, far parte di associazioni culturali e sportive, pilotare aerei, allevare colombi viaggiatori. Nel febbraio del 1939 sono stati ritirati dal commercio tutti i libri di autori ebrei: motivo: la “bonifica culturale del paese”.
Per ora l’unica preoccupazione di Almansi e di Foà è di raccogliere quei cinquanta chili di oro, e magari qualcosa di più per evitare controversie. La voce è stata fatta circolare negli ambienti ebraici. Stamani sul marciapiedi del lungotevere Cenci, davanti agli uffici comunitari che si trovano accanto alla sinagoga, c’è stato un gran via vai: gente di ogni classe, gente ben vestita e gente dimessa, tutti con un pacchetto in mano. C’erano anche non ebrei, anche qualche sacerdote cattolico. A un certo punto qualcuno ha telefonato a Foà dal Vaticano: se non ce la fate a arrivare a cinquanta chili, vi possiamo aiutare noi.
In via Tasso i cinquanta chili di oro ci sono, e anche qualcosa di più. La bilancia del capitano Schutz ha una portata di cinque chili. Dieci pesate, cinquanta chili. No, dice il tedesco; le pesate sono state nove. Si ripesa. Dieci pesate, cinquanta chili.
Non basta. Domani un reparto di “SS” tornerà e perquisirà gli uffici della sinagoga e gli uffici comunitari; porterà via documenti e una somma conservata nella cassaforte del tempio (più di due milioni di lire; più di due miliardi di oggi). Non basta. La mattina del 30, Capodanno secondo il calendario ebraico, due ufficiali tedeschi verranno a ispezionare le biblioteche della sinagoga e caricheranno su un autocarro un bel numero di volumi. Uno dei due, un capitano, si qualificherà come docente di lingua ebraica in un istituto superiore di Berlino. Dunque è stata una operazione culturale. Ma il peggio deve ancora arrivare: arriverà il 16 ottobre.