22 luglio

Finalmente il re ha deciso: arresto di Mussolini lunedì 26 o giovedì 29. Ma arriva la notizia della convocazione del Gran Consiglio del fascismo per sabato 24. Converrà quindi aspettare l’esito del voto sull’odg Grandi.

Lunedì 26 o giovedì 29. Finalmente Vittorio Emanuele ha accettato – o quasi – l’idea del colpo di stato e, sia pure con ancora molte perplessità, ha proposto una data: il 26 o il 29. Il lunedì e il giovedì sono i giorni in cui il re riceve abitualmente in udienza al Quirinale il capo del governo Benito Mussolini. Al Quirinale lo si può arrestare; non certo a palazzo Venezia o a villa Torlonia, dove abita lui, o a villa Savoia, dove abita il re.

Della convocazione per sabato prossimo 24 del Gran Consiglio del fascismo, decisa ieri da Mussolini, il re ancora non sa niente; e niente (o poco, attraverso il suo fido ministro della Real Casa, il duca Acquarone) dell’ordine del giorno che Dino Grandi ha preparato. Uscendo ieri dall’ufficio di Scorza, dove dal segretario del partito ha avuto la notizia della convocazione, Dino Grandi si è recato a casa di Federzoni e con lui ha discusso se era opportuno avvertire il re e i capi dell’esercito. Meglio di no. Nessuno può ancora prevedere quale sarà il voto del Gran Consiglio sull’ordine del giorno di Grandi; perciò non conviene “compromettere la Corona in un tentativo di esito così incerto”1.

Come si spiega, allora, la decisione del re? forse per la notizia, fattagli avere dal sottosegretario agli esteri Bastianini, che si sta cercando di stabilire contatti con gli angloamericani per sondarne intenzioni e disponibilità? oppure la notizia, giunta tre giorni fa al duca Acquarone, che Farinacci, l’esponente dell’ala più radicale del partito fascista, sta tramando per l’accantonamento di Mussolini e il passaggio di tutti i poteri al generale Kesselring, comandante delle armate tedesche in Italia?2

Stamani, giovedì, il re ha ricevuto Mussolini, come al solito. Non si sa bene che cosa si sono detti. Non è credibile, scrive Renzo De Felice3, che non abbiano parlato dei sondaggi di Bastianini con gli angloamericani ed è credibile forse sì forse no quello che racconterà Badoglio (le testimonianze di Badoglio – scrive ancora De Felice – sono sempre da prendersi con le molle), che Mussolini avrebbe assicurato il re che si sarebbe sganciato dalla Germania entro il 15 settembre. Una cosa che dovremmo credere è invece quella che racconta Egidio Ortona4: che al ritorno dall’udienza reale Mussolini era “tutto sereno e disteso”. Sereno e disteso dopo aver parlato col re che ieri e stamani ha deciso di farlo arrestare?

Per capire meglio, cerchiamo di fare un calendario di quello che è successo in queste ultime settimane. Cominciamo dal 4 giugno, quando il re riceve al Quirinale Dino Grandi. “Maestà”, racconta Dino Grandi di aver detto5, “non c’è scelta: o abdicazione o un cambiamento di fronte”. E il re: “L’ora verrà. Lasciate che il vostro re scelga il momento opportuno, e frattanto aiutatemi a trovare i mezzi costituzionali”6. Quali mezzi costituzionali: non certo il Senato e la Camera dei fasci e delle corporazioni; forse il Gran Consiglio del fascismo?

L’8 giugno il re si incontra con Marcello Soleri, un vecchio uomo politico del prefascismo. Soleri ha l’impressione7 che il re aspetti un “fatto nuovo” che determini il suo intervento; e il fatto nuovo non può essere che “la frattura del fascismo e la sconfessione di Mussolini, che avrebbe reso necessario al re, senza pericolo di sbagliare, di licenziare il suo primo ministro”.

Il 9 giugno il papa Pio XII fa preparare a monsignor Tardini, segretario per gli affari straordinari della segreteria di stato vaticana, e rileggere al cardinale Maglione, segretario di stato, un messaggio per Vittorio Emanuele8: siamo stati informati che gli Stati Uniti sono sinceramente desiderosi che l’Italia esca dal conflitto e disposti ad aiutarla; sappiamo anche il governo americano non solleva eccezioni contro la monarchia dei Savoia. Poi il papa ci ripensa e non ne fa di nulla. Preferisce, pochi giorni dopo, il 17, inviare al Quirinale, col pretesto di consegnare al re le medaglie commemorative del venticinquesimo anno di episcopato, monsignor Borgoncini Duca, nunzio apostolico in Italia. È un incontro che non porta a niente. Entrambi sono d’accordo sulla gravità della situazione, ma quando il nunzio dice “Il governo dipende da vostra Maestà”, il re risponde “Io non sono come il papa”9.

L’atteggiamento di Vittorio Emanuele non piace né agli inglesi né agli americani. Il 19 giugno, dopo aver parlato con l’ambasciatore inglese presso la Santa Sede, Francis Osborne, monsignor Tardini scrive che Londra, pur essendo ben disposta verso il sistema monarchico, critica la debolezza e l’inattività del re. E da Washington, monsignor Cicognani, nunzio apostolico negli Stati Uniti, manda un telegramma il 26 giugno10: “…stima verso il re va diminuendo. Se non compierà tempestivamente un gesto nel senso indicato (cioè la deposizione di Mussolini e l’uscita dal conflitto) c’è da temere che almeno durante eventuale regime marziale (cioè l’occupazione militare italiana da parte degli alleati) sia messo in disparte”.

Il 5 luglio il re riceve il generale Ambrosio, che qualche giorno fa si è incontrato col generale Badoglio e insieme hanno concordato nel ritenere ormai insostenibile la situazione. La Libia ha ingoiato le scarse riserve; in Russia si sono perduti due terzi delle forze e tutto il materiale; l’aviazione ha ricevuto in Africa il colpo di grazia; la marina da guerra è danneggiatissima; per difendere la penisola ci sono soltanto dodici divisioni e le divisioni costiere sono praticamente senza artiglieria.

È questo che il Capo di stato maggiore generale racconta al re; e gli prospetta anche l’opportunità11 di una dittatura militare con alla testa Caviglia12 o Badoglio. Il re non si mostra entusiasta; è ancora del parere che il fascismo non si possa abbattere di un colpo e che “bisognerebbe modificarlo gradatamente fino a cambiargli fisionomia in quegli aspetti che si sono dimostrati dannosi per il paese”.

A questo punto Ambrosio decide di procedere senza il Quirinale, dando maggiore fiducia al suo braccio destro, il generale Castellano. Su Ambrosio premono anche il sottosegretario agli esteri Bastianini e due uomini che hanno avuto grosse responsabilità nel campo finanziario e imprenditoriale: Vittorio Cini, conte (di nomina regia), senatore dal 1934, ministro delle comunicazioni col rimpasto del febbraio scorso e di lì a poco dimissionario, e Giuseppe Volpi, anche lui conte (e anche lui di nomina regia), senatore dal 1922, ministro delle finanze nel 192513.

Il generale Castellano è sempre in contatto con Galeazzo Ciano, anche se gli incontri non sono facili perché il genero di Mussolini è sorvegliato dalla polizia. Più facile per Ambrosio è vedersi con Carmine Senise, che Mussolini ha destituito da capo della polizia a metà aprile, ma che ufficiosamente continua la sua attività con la connivenza del sottosegretario agli interni Umberto Albini.

Bisogna aggiornare il piano per l’arresto di Mussolini. Il piano preparato da Castellano a metà maggio è stato ovviamente distrutto per motivi di sicurezza. Bisogna redigerne un altro e bisogna far presto. Castellano lo scrive e Ambrosio lo fa vedere al duca Acquarone.

È il 15 luglio. Il re riceve Badoglio a villa Savoia. Ufficialmente lo ha visto, l’ultima volta, il 6 marzo, ma qualcuno (la polizia) sostiene che gli incontri sono stati parecchi, nella seconda metà di maggio. Badoglio arrivava a villa Savoia nel tardo pomeriggio, in borghese e in taxi.

L’udienza del 15, una settimana fa, è stata ufficiale. Negli ultimi giorni sono successe molte cose. Dopo la caduta di Pantelleria e Lampedusa, l’11 di giugno, gli Alleati sono sbarcati sei giorni fa in Sicilia. Proprio il 15 luglio il direttore della Stefani, Roberto Suster, scrive nel suo diario14: “Le cose in Sicilia vanno di male in peggio. I nostri non si battono, ma si arrendono. Il paese è disgustato. I fascisti furibondi. Il mito del Duce è crollato. La molla patriottica sembra spezzata. Ognuno comincia a vergognarsi di essere italiano e di essere stato fascista”.

L’incontro fra il re e Badoglio non porta tuttavia a niente di nuovo. Ivanoe Bonomi, un vecchio uomo politico del prefascismo che gode della stima del re e più volte è stato ricevuto al Quirinale negli ultimi mesi, ha parlato il giorno dopo, il 16, con Badoglio e da lui ha saputo che il re non crede che un colpo di stato abbia possibilità di riuscita15; non crede neppure in un governo di vecchi politici, da Einaudi a Ruini, da Bonomi a Soleri. “Sono tutti dei revenants” ha detto il re; e Badoglio: “Anche noi due, Sire, siamo dei revenants“.

Il 19 Roma è bombardata dagli aerei angloamericani e in serata Mussolini torna con Ambrosio da Feltre, dove si è incontrato con Hitler. Il 20 il re è informato che quell’incontro non ha risolto alcun problema e anzi ha aggravato la situazione dell’Italia. Ieri, 21, il duca Acquarone si è incontrato con Senise e gli ha detto che il re si è orientato per il colpo di stato16. In serata è però venuto a sapere della convocazione del Gran Consiglio del fascismo per dopodomani sabato; Federzoni glielo ha confermato stamani e subito Acquarone lo ha detto al re.

Il progetto di arrestare Mussolini lunedì 26 o giovedì 29 viene fermato. Converrà aspettare la riunione del Gran Consiglio e il voto sull’ordine del giorno di Dino Grandi. Forse questo è il fatto nuovo che il re aspettava per rimuovere le sue formalistiche preoccupazioni di carattere costituzionale. Ma il Duce sarà davvero messo in minoranza o no?


1 In 25 luglio 1943 di Dino Grandi, già citato.

2 In Mussolini l’alleato, di Renzo De Felice, già citato.

3 Ibidem

4 In Diario del 1943, di Egidio Ortona, già citato

5 In 25 luglio 1943.

6 In Parla Vittorio Emanuele III, di P. Puntoni, già citato.

7 In Memoria di Marcello Soleri, Einaudi, 1949.

8 In Archivi della Santa Sede, vol. VII.

9 Ibidem.

10 Ibidem.

11 In Parla Vittorio Emanuele III, di P. Puntoni.

12 Enrico Caviglia, comandante d’armata durante la prima guerra mondiale, ministro della guerra nel terzo ministero Orlando (1919); nel 1920 comandò le truppe che posero fina all’occupazione dannunziana di Fiume; senatore; maresciallo d’Italia dal 1926. Nel 1943 aveva 81 anni.

13 Vittorio Cini (Ferrara 1885-Venezia 1977), ben noto, nel dopoguerra, per lo sviluppo del porto industriale di Marghera e per la bonifica del Polesine; nel 1951 ha creato, con sede nell’isola veneziana di San Giorgio, una fondazione intitolata al figlio Giorgio, morto in un incidente aereo. Giuseppe Volpi (Venezia 1877-Roma 1947), intraprendente finanziere in Montenegro prima del fascismo, governatore della Tripolitania nel 1921 (da qui il titolo di conte di Misurata); nel dopoguerra promosse la mostra cinematografica di Venezia.

14 già citato

15 In Diario di un anno, Garzanti, 1947.

16 In Quando ero capo della polizia, Ruffolo, 1946.