11 agosto
Il ministero della cultura popolare è stato un’invenzione di Mussolini come strumento di controllo e di indirizzo del partito fascista sull’attività culturale in genere ma soprattutto sulla stampa. Badoglio l’ha mantenuto, affidandolo a Guido Rocco, che era direttore generale dello stesso ministero – ministro Gaetano Polverelli – nell’ultimo governo fascista.
Stamani i direttori dei tre quotidiani di Roma – Tomaso Smith del Messaggero, Corrado Alvaro del Popolo di Roma e il senatore Alberto Bergamini del Giornale d’Italia – chiedono di essere ricevuti dal ministro: le prime pagine dei giornali sono piene di spazi bianchi per l’intervento divenuto pesante e spesso irrazionale della censura; non si può parlare della guerra (e della pace); non si può parlare della colpe del fascismo; non si può parlare dei gerarchi del partito e dei loro arricchimenti; non si può neppure usare la parola “fascismo”, che deve essere sostituita con “passato regime” o “caduto regime”.
I tre direttori, con l’assenso dei direttori di altri quotidiani, hanno inviato una lettera al capo del governo (che si fa chiamare così, come Mussolini, e non presidente del consiglio). Il testo, sicuramente scritto da Corrado Alvaro, è poco conosciuto e vale la pena di farlo conoscere quasi integralmente, perché fa capire chiaramente le linee di fondo della contingente politica di Badoglio: non toccare i tedeschi, facendogli credere (ma è possibile?) che niente è cambiato, ed evitare il passaggio dalla dittatura a una democrazia compiuta, col rispetto di tutte le libertà democratiche, dalla libertà di stampa alla libertà di associazione e di parola.
Ecco il testo della lettera a “Sua Eccellenza il maresciallo Pietro Badoglio”, a cui danno del “voi”, come dal 1938 era obbligatorio sotto il fascismo al posto del “lei”:
“Vi è presentemente, e pochi giorni fa non c’era, una grave minaccia su Vostra Eccellenza e sul governo che Vostra Eccellenza presiede: la delusione dell’opinione pubblica. Non intendiamo accennare alla delusione nascente dal proseguimento della guerra. Su questo punto sappiamo da quali necessità inesorabili sia ispirata la condotta del governo e sappiamo che la responsabilità del governo va rispettata. Lo sappiamo a tal punto che ci rassegniamo ad accettare per i nostri giornali norme e prescrizioni uniformi, dalle quali ci è tolta anche la discreta ambizione di dare almeno la veste del nostro gusto e del nostro stile all’indirizzo generale del governo”.
“La delusione alla quale accenniamo è quella che nasce dall’atteggiamento al quale la stampa è costretta verso il regime caduto. Crediamo che su questo punto ci sia dato di intervenire e crediamo che il contegno disciplinato mantenuto sulla questione della guerra tolga ogni dubbio che ci ispirino motivi diversi da quelli di una meditata preoccupazione di uomini devoti alla patria e all’ordine. Sta di fatto che la censura vieta oggi con rigore minuto, meticoloso, con sensibilità stranamente acuta, con vigilanza stranamente tiepida e gelosa ogni accenno ai vizi, agli errori, alle oppressioni del passato regime. Già questa circonlocuzione “passato regime” o “caduto regime” che la censura preferisce al nome di “fascismo” è essa stessa indice di uno stato d’animo di suscettibilità difensiva che va notato”.
“Secondo noi è urgente, urgentissimo che il popolo sappia che le sventure presenti e quelle di domani, le angustie che da ogni parte lo soffocano sono tutte nate dal fascismo. Se l’Italia oggi è stremata di ogni forza militare, politica ed economica e se in questa condizione di miseria assoluta il governo deve chiedere sacrifici e imporli con dolorosa severità è perché il fascismo ha rubato, mentito, tradito. Che queste accuse e denunzie devono essere fatte entro certi limiti, tenendo conto di possibili contrasti interni, è cosa che possiamo e dobbiamo comprendere. Vegli pure una censura che non predichi l’odio, la vendetta, la persecuzione, ma che entro questi limiti non sia soffocata ogni moderata critica degli uomini, degli istituti, dei costumi e dei capricci e delle colpe del fascismo”.
“Oggi grazie alle istruzioni della censura o all’interpretazione loro di funzionari esecutivi, avviene che perfino i provvedimenti più coraggiosi del governo arrivano sbiaditi o impoveriti di ogni forza di suggestione, perché nessun commento polemico verso il passato è lecito che ne dimostri la giustezza e l’opportunità. La libertà che all’opinione pubblica è stata promessa e che finora, poiché la guerra continua, rimane la sola novità portata dal cambiamento di regime, quale realtà può assumere se non quella della critica al fascismo? Se la stampa non è nemmeno libera di fare questa critica, dove coglierà il pubblico il segno della libertà?”.