25 settembre
A Firenze la stazione centrale di Santa Maria Novella è una stazione di testa. Lo scalo ferroviario di Campo di Marte è invece il passaggio obbligato, l’unico, di tutto il traffico ferroviario fra nord e sud. Ai limiti del centro storico della città, lo scalo è una grande area di binari e di officine, larga 125 metri, lunga un chilometro e mezzo.
Trentasei bombardieri inglesi sono partiti stamani dalle loro basi in Africa per distruggere lo scalo e interrompere i rifornimenti militari dei tedeschi fra l’Italia settentrionale e l’Italia centrale. Decine di bombe cadono sui quartieri residenziali della città; neppure una sul bersaglio.
Il lungo scalo ferroviario di Campo di Marte a Firenze e, intorno, le bombe più distruttive cadute sui quartieri residenziali oltre i viali di circonvallazione
I morti fra i civili sono stati 215. Ecco il racconto di Ugo Cappelletti1.
“Questa giornata senza sole è incominciata come tante altre, con i problemi e le ansie di sempre, in questa stagione di guerra e di morte. Alle scuole Pie Fiorentine di via Cavour si stanno preparando e le aule in vista della riapertura, almeno si spera, del nuovo anno scolastico. Molta gente sta facendo, come ogni giorno, la coda per acquistare i generi alimentari.
“Sono circa le 11 del mattino. Trentasei bombardieri inglesi, che hanno lasciato da non molto la loro base, sono in volo verso Firenze. L’ufficiale della RAF che comanda la formazione dei trentasei bimotori Wickers Wellington del Mediterraneo Air Command, suddivisa in quattro squadriglie di nove apparecchi ciascuna, dà un’occhiata alla zona che sta sorvolando. I bombardieri, dipinti con una vernice opaca denominata “Sand and Spinach”, si stagliano lugubri contro il grigio dello spazio.
“La formazione viene dal nord e si avvicina a Firenze sfiorando monte Morello. L’ufficiale britannico sa di essere sulla rotta giusta. L’obbiettivo, studiato sulle fotografie scattate dai ricognitori, è appunto lo scalo ferroviario del Campo di Marte, dal quale transitano innumerevoli convogli militari germanici che trasportano rifornimenti alle truppe schieraste sul fronte italiano.
“Quando alle 11.25 esatte le sirene ululano, trentasei Wellington sono già su Firenze. Il rombo dei motori diventa assordante. Sono in molti a questo punto ad alzare lo sguardo verso il cielo. Anita Pestelli, che abita in Via Luca Landucci 44, si ferma nel panificio a poche decine di metri da casa sua. Acquistata con la tessera la consueta razione di pane, la signora sta per uscire quando si odono i segnali delle sirene. “Se vuole – le dice il fornaio, mentre si avvia a tirar giù la saracinesca – può rimanere qui fino al cessato allarme”. Anita Pestelli, dopo un attimo di esitazione, risponde che preferisce andare a casa, tanto osserva, abita lì a due passi. Un secondo dopo esce dal negozio nel quale invece rimangono una decina di persone. Alle sue spalle sente il rumore della saracinesca che viene abbassata. Anche l’ortolano che ha il suo negozio accanto al panificio fa altrettanto. Anita Pestelli non può neppure lontanamente supporre che quelle due serrande che vengono giù accompagnate da un frastuono metallico sono simbolicamente come due coperchi di bare che si chiudono su quanti sono restati nelle botteghe.
“Fra quelli che scrutano con crescente inquietudine la rotta dei bombardieri c’è anche una giovane lavorante di un laboratorio di restauro di arazzi e tappeti in via Duprè 43. La ragazza si chiama Tonina Becattelli. All’assordante rumore dei trentasei Wellington in volo si è avvicinata incuriosita ad una delle finestre del laboratorio. Allora si volta verso il proprietario del laboratorio, Aldo Faccioli, e gli dice: “Ma quegli aeroplani vengono a bombardare!”. Il Faccioli si affaccia anche lui alla finestra e, rivolto alle lavoranti – una decina in tutto – dice loro: “Via, presto, scendete in rifugio”. Insieme alle ragazze scende anche la moglie del proprietario, Vera Faccioli, che ha partorito da poco e tiene il neonato in braccio.
“Il fratello del Faccioli, Carlo, sta pedalando nel viale dei Mille e si appresta a voltare in via Marconi, diretto a casa per il pranzo. Il crescendo del rombo prodotto dagli aerei lo convince, come stanno facendo rapidamente altri passanti, a fermarsi cercando prudentemente un rifugio. Dal momento in cui la formazione della RAF è sbucata da sopra monte Morello sono trascorsi si e no tre minuti. Tra il segnale di allarme e il tremendo volo degli incursori verso l’obbiettivo e lo sgancio delle bombe passa pochissimo tempo, forse cinque minuti, non di più.
“Chissà se quel bambino che in via Pier Capponi osserva la formazione dei bombardieri ha un presentimento. Comunque rientra nello stabile e chiama a gran voce i genitori che sono in un appartamento dell’ultimo piano scendano giù in un rifugio. Se il babbo e le mamma rimarranno vivi lo dovranno proprio a lui. La sommità dell’edificio verrà devastata da una bomba.
“In via Scipione Ammirato la zia di Giuliano Galardi e la moglie di Dante Gandi, direttore della società “Nafta”, insieme alla figlia Marisa di 13 anni e il figlio Giancarlo di tre, escono dal villino al numero 58, attraversano la strada e suonano il campanello di una abitazione posta di fronte, nella quale sanno che esiste un rifugio antiaereo. Ma nessuno risponde. Allora, frettolosamente, le due donne, la giovinetta ed il bambino tornano sui loro passi, fermandosi nell’ingresso all’interno del sottosuolo. Fra pochi istanti una bomba centrerà in pieno la villetta e i quattro periranno sotto le macerie. Ci vorranno alcuni giorni prima di poter recuperare i loro corpi.
“L’ufficiale che comanda le quattro squadriglie ha individuato l’obbiettivo: il tracciato della ferrovia si staglia benissimo.
“In questo stesso momento in via del Cenacolo, proprio ai piedi della passerella pedonale in cemento armato che scavalca lo scalo ferroviario, il manovratore ed il fattorino di un tram della linea 6 che qui fa capolinea, staccano la puleggia, riparando nell’androne di uno stabile all’angolo, con via Mannelli, l’edificio, cioè, più vicino al transito dei treni. Manovratore e fattorino moriranno insieme ad altre 23 persone per i crollo degli appartamenti devastati da uno degli ordigni.
“In via Fra Paolo Sarpi una donna sta camminando frettolosamente lungo il marciapiede. Si chiama Fosca Venni nei Trebbi; non ha ancora 50 anni. Le mancano appena 150 metri per raggiungere la sua abitazione in via Luca Landucci, 45. Alcuni conoscenti la chiamano per nome: “Venga qui, signora Fosca si rifugi da noi”. Ancora pochi passi e questi avrebbero rappresentato la sua salvezza. Ma la donna si ferma, accetta l’amichevole invito ed entra in quell’edificio che sarà raso al suolo da una bomba. Il corpo di Fosca Trebbi andrà ad allinearsi con gli altri in un’aula della scuola Giotto.
“L’ufficiale che comanda gli incursori dà ora un ordine secco e dalla pancia degli apparecchi si rovesciano giù decine di bombe. Ciascun Wellington può portare un carico di esplosivi fino a 2000 chilogrammi. Un lugubre sibilo e quindi, pochi attimi più tardi tutta la terra trema come se fosse scossa da un terremoto.
“Sergio Carpini, di 15 anni, che sta nel viale Malta 17, insieme all’amico Aldo Parrini, 14 anni, che abita in un edificio accanto, è nel fossato che fiancheggia il Campo Marte, I due ragazzi stanno giocando. Nel momento in cui alza gli occhi verso via Campo D’Arrigo e Via Frusa, Sergio viene abbacinato da un grande lampo arancione che si stende per un centinaio di metri. Una frazione di secondo dopo ode un boato spaventoso. L’ordigno, piombato ad un paio di metri dei cancelli che immettono sulla ferrovia, scava appena una buca di due metri e quindi erompe lateralmente.
“Bombardano” grida Sergio all’amico. Balza in piedi e in due salti attraversa il viale entrando di corsa in casa. Chiude di colpo il portone alle sue spalle proprio nella stessa frazione di tempo in cui una bomba apre un grande cratere dinanzi alla porta, sradica un albero del diametro di mezzo metro e lo fa letteralmente volare sul tetto dell’edificio.
“In via Marconi un altro ordigno piomba sulla carreggiata dinanzi a via Duprè e scava una specie di voragine. Carlo Faccioli, che un attimo prima, sceso di bicicletta, ha appoggiato il velocipede al muro, è colpito in pieno. Di lui si ritroveranno l’anello, qualche brandello di stoffa e pochi resti maciullati. Nell’atrio di uno stabile vicino una ragazza ha fatto in tempo a rifugiarsi prima dello scoppio della bomba, ma lo spostamento d’aria le strappa completamente l’abito di dosso.
“Ovunque volano pezzi di persiane, frammenti di tende e di coperte, schegge di legno, parte di materassi, calcinacci, tegole. Le esplosioni si susseguono cupe, terribili. Una immensa nube nera si alza dalle zone colpite.
“Gli ottimisti, quelli che hanno sempre sperato e sostenuto che Firenze non sarebbe mai stata bersaglio di incursioni perché la città non ha obbiettivi militari, sono i primi a doversi ricredere. Lo sbalordimento è tale che quanto avviene in questi momenti sembra assolutamente fuori dalla realtà. E fuori dalla realtà è anche il convincimento degli aviatori britannici di aver colpito il bersaglio. In effetti lo scalo del Campo di Marte è intatto. Nessuna bomba è finita sui binari interrompendo il movimento del treno, nessun ordigno è finito su un convoglio tedesco. Invece sono saltate in aria decine di abitazioni e moltissime persone rimangono prigioniere fra le macerie.
“La squadriglia che ha deviato verso il centro della città è quella che semina la distruzione nelle zone più lontane della ferrovia. Una delle bombe fa crollare l’ala meridionale delle Scuole Pie, un’altra distrugge un villino di via La Marmora, una terza piomba in piazza Cavour e le schegge falciano don Amadori. Una quarta irrompe sull’angolo di via Pier Capponi e centra in pieno la farmacia Maestrini, seppellendo il proprietario sotto le rovine. Nello stesso istante un altro ordigno devasta l’abitazione del farmacista in via del Pellegrino.
“Nell’edificio dove si trova la farmacia abita all’ultimo piano la famiglia Carganico; uno di loro, Mario, si aggrappa disperatamente all’inferriata di una finestra. Si salva così, rimanendo lassù abbracciato convulsamente a quella grata. La madre, un fratellino e la zia muoiono nel crollo delle mura. Il padre del ragazzo, che lavora in un garage di via La Farina, al cessato allarme accorre in via Pier Capponi e si trova dinanzi a questo allucinante spettacolo. Lo steso avviene a Dante Gandi, che in via Scipione Ammirato vede distrutta la sua casa e con quella la sua famiglia.
“Altre due bombe piombano sui giardini di via Pier Capponi ai numeri 28 e 30 e devastano gli ultimi piani degli edifici. Crolla un edificio nel viale Principe Amedeo all’angolo con via Valori, travolgendo gli inquilini. Altri esplosivi seminano la distruzione in via Fra Bartolomeo e via Leonardo da Vinci. Un ordigno apre un cratere in mezzo a via degli Artisti, all’angolo con via Della Robbia e gli stabili circostanti vengono gravemente lesionati dalle schegge e dallo spostamento d’aria. Viene colpito il giardino delle Suore Ausiliatrici in via Gino Capponi e il convento rimane danneggiato. Una bomba colpisce il cimitero della Misericordia in Piazza Conti, un’altra devasta trenta loculi al cimitero degli Innocenti in Piazza Donatello.
“Ed ancora: crollano edifici in via Masaccio, in via Capodimondo, all’angolo con via Tommaso Campanella, in via Andrea Del Sarto, in via Fra Paolo Sarpi e via Luca Landucci. In questa strada una donna, la signora Bartoli, sta scendendo le scale nel momento in cui la sua casa viene colpita. Viene giù tutto ad eccezione di una rampa che rimane abbarbicata ad un muro maestro dell’edificio. Su questi gradini pericolanti la signora, terrorizzata e lievemente ferita, rimane fino a quando il figlio non riesce a trarla in salvo.
“Crollano anche diverse abitazioni nella zona attorno a Rifredi. Gli ordigni seminano morte e rovine verso Montughi, in via Puccinotti, nel Giardino di Orticultura, all’angolo di via Bolognese con via Trieste, in via del Pellegrino. In uno stabile di questa strada la famiglia dell’elettricista Chiostri insieme ad altri inquilini si salva miracolosamente perché la volta del portone resiste al crollo. I soccorritori troveranno il gruppo fra alcune ore. Una bomba fa crollare uno stabile in Via Guglielmo Pepe, all’angolo con via Borghini, un’altra cade all’angolo di via Boccaccio con Via Calandrino, una terza prende in pieno il casamento dove si trova un negozio di barbiere, in Via Faentina, all’angolo con il Ponte Rosso. Altri ordigni piombano sul viale Principessa Clotilde, danneggiando il Convento delle Suore Francesi e sul deposito dei tram del Viale dei Mille, uccidendo diversi dipendenti dell’azienda. Li troveranno dopo alcuni giorni ed andranno ad allungare il triste elenco delle vittime. I tramvieri uccisi sono Marchionni, Fanfani, Linari, Lucchesi, Buscaglioni ed un sesto non identificato.
“Lo spostamento d’aria investe l'”ospedalino” Meyer. I piccoli pazienti sono terrorizzati. Il personale oltre ad occuparsi dei bambini deve medicare i primi feriti che affluiscono dalle zone colpite. La scia micidiale delle bombe prosegue. Una bomba danneggia lo stabilimento tipografico Vallecchi nel viale dei Mille; un’altra cade vicino al Ponte del Pino mentre sopraggiunge in moto l’agente Ferrarti, che viene falciato dalle schegge e muore all’istante. Per lo spostamento d’aria un altro agente, Sisto Principato, addetto alla squadra motociclisti della questura, viene sbalzato via dalla moto; se la cava con qualche contusione.
“Lo sgancio delle bombe polverizza altre abitazioni in via Andrea del Castagno, via Mannelli e via Campo d’Arrigo, dove si conteranno altri morti sotto le rovine. Le ultime bombe si avventano sul viale Manfredo Fanti, danneggiando l’ingesso principale dello stadio, cadono in via Enrico Toti e in via Ermolao Rubieri e Pier Fortunato Calvi.
“Terminato il loro mortale carico, gli apparecchi incursori sorvolano l’Affrico, poi piegando a destra raggiungono la direttrice dell’Arno e scompaiono all’orizzonte. Missione eseguita.
“In certe zone sembra sia calata improvvisa una nebbia fatta di polvere impalpabile. Fumo, crepitio delle fiamme, odore acre della cordite. Don Sardi e don Matteucci si sono precipitati fuori dalla canonica e accorrono verso le strade colpite. Prestano i primi soccorsi ai feriti, benedicono i moribondi, salgono sui cumuli di macerie nella speranza di poter dare una mano a qualcuno imprigionato fra le pietre.
“Passano di corsa alcuni soldati. Fra questi c’è Mario Cecchi Gori, il giovane marito della figlia della signora Pestelli richiamato sotto le armi. Si ferma un attimo per chiedere se hanno avuto dei danni o se le due donne hanno bisogno di qualcosa. Gli rispondono di no. Il soldato riparte di corsa per raggiungere i compagni impegnati nell’opera di soccorso.
“La specie di nebbia sollevata dalle macerie è così impenetrabile che la signora Franci, un’anziana che abita all’ultimo piano dello stesso blocco, rimasta terrorizzata in cucina per tutta la durata del bombardamento, si avvia verso la porta, l’apre credendo di raggiungere l’ingresso e invece sotto i suoi piedi vi è una voragine. Cade giù fratturandosi una gamba. Le altre quattro stanze del suo appartamento sono polverizzate. Sotto i calcinacci giacciono sette cadaveri, tra cui quello dello spazzino della zona, che si era rifugiato nell’androne all’inizio dell’incursione.
“Dopo il cessato allarme Tonina Becattelli e la sua amica Rita escono dal Laboratorio per tornare a casa. Vedono la voragine aperta dalla bomba in Via Marconi, ma non sanno che in questa è sparito il corpo del fratello del loro principale. Questi crateri sono larghi anche dieci o dodici metri e profondi sette o otto. Le grandi buche si riempiono rapidamente di acqua che fuoriesce dalle conduttore devastate dalle esplosioni. In terra penzolano i fili del telefono, della luce e della linea tranviaria. Un’altra enorme buca è sul viale dei Mille, angolo con via Marconi, dinanzi al Bar Grappolini ed allo stabilimento tipografico Vallecchi.
“Le due ragazze passano sul ponte del Pino. Da una parte è fermo il carro funebre della Misericordia. Alcuni “fratelli” raccolgono pietosamente dei cadaveri. Un telo viene passato sotto il corpo di un uomo privo di vita. Quando i “fratelli” sollevano la salma il cervello ed i capelli dell’uomo cadono giù. È uno spettacolo orribile.
“Tonina e Rita, percorsi ancora poche decine di metri, assistono ad un altro orrendo spettacolo. Un intero edifico di Via Masaccio è crollato. Dalle rovine giungono flebili lamenti, lontani, soffocati, di quanti sono ancora sepolti sotto le macerie. Un uomo in preda alla disperazione dinanzi alle rovine implora i presenti di fare qualcosa. Gli spiegano che non è possibile perchè da un momento all’altro possono crollare altri muri rimasti pericolanti. Il rischio è grosso per i soccorritori. Occorre fare piano per evitare che i resti dell’edificio vengano giù. L’inevitabile lentezza delle operazioni di soccorso condanna gli sventurati sepolti vivi. Un sacerdote sale sul cumulo dei calcinacci, si inginocchia e poi impartisce la benedizione.
“All’angolo di via Capponi con piazza Cavour una donna con gli occhi sbarrati fissa l’edificio distrutto dove era la farmacia Maestrini e ripete in continuazione: “O Dio, o Dio…”. Sembra come impazzita.
“In via Fra Paolo Sarpi don Sardi cerca di consolare come può Sabatino Sabatelli. Sua moglie Ginevra e i due figli, uno di nove, l’altro di sei anni, sono sepolti sotto le mura crollate. Quando le squadre di soccorso arrivano a toccare i loro corpi non c’è più niente da fare. Lassù all’ultimo piano dello stabile sventrato dalla bomba una donna di 80 anni, la suocera del Sabatelli, è rimasta come paralizzata accanto al cassettone della sua camera, a pochi metri dalla voragine.
“Man mano che vengono recuperate, le vittime dell’incursione sono deposte in alcune aule della scuola Giotto. In certi casi il riconoscimento è pressochè impossibile, in altri presunto. Tra quei corpi vi sono anche i figli del Sabatelli, il piccolo Cesare e la sorellina Annamaria. E poi i cinque corpi straziati di altri bimbi: Sergio Mannini di cinque anni, Paolo Fontani di tre mesi, morto con il babbo Paolo e la mamma Anna. E ancora Mario Membri di sette anni, il fratellino Piero di sei, Loredana Vivoli, Galliano Bellomo di due; o giovanissime vittime come Franca Revles di 14 anni, Valchiria Matteini di 16, Ines Zanotti di 15.
“Prima ancora che le sirene diano il cessato allarme dal palazzo arcivescovile è uscito il cardinale Elia Dalla Costa, accompagnato dal suo segretario monsignor Meneghello. Il presule raggiunge i quartieri bombardati e si prodiga nel conforto morale e materiale ai sopravvissuti. Nel frattempo è scattato tutto il meccanismo di soccorso, ma i mezzi sono quelli che sono, pochi e non ben coordinati. Le ambulanze della Misericordia fanno la spola fra i luoghi colpiti e gli ospedali, vigili del fuoco, soldati, militi dell’UNPA2, forze dell’ordine e squadre di volenterosi si prodigano per smassare le macerie e trarre in salvo quanti sono bloccati nei sottosuoli. Intervengono anche medici e soldati tedeschi di una colonna in transito nella città. Fra i tanti problemi vi è anche quello di come trovare le bare necessarie ad accogliere le centinaia di morti.
“Una ragazza che giunge in bicicletta dal centro non scorge il corpo di un uomo adagiato sul marciapiede in Via degli Artisti all’angolo con Via Masaccio. Ad un tratto la ragazza sente il proprio cognome pronunciato a voce alta da un carabiniere che legge i documenti della vittima. La giovane si ferma di colpo; torna indietro e scopre che quel morto è suo padre.
“All’angolo di via Scialoia con via Manin un grande stabile è crollato su se stesso sopra al rifugio casalingo. Dopo tante ore di lavoro i vigili del fuoco raggiungono la cantina, intatta ma completamente allagata dall’acqua fuoriuscita dalle condutture spaccate. Vengono estratte venticinque vittime e fra queste il corpo di una madre che ha ancora le braccia protese in alto per sorreggere il suo bambino tentando disperatamente di sottrarlo all’acqua che saliva.
“Mentre nei vari pronto soccorso i medici e gli infermieri assistono le decine e decine di feriti, altri soccorritori compongono le prime salme raccolte. Nella scuola Giotto sono allineati 27 corpi. A qualcuno non è stato possibile dare un nome. All’asilo mortuario di Santa Maria Nuova sono strati portati altri 42 cadaveri e di questi tredici non sono stati identificati. Altre 42 sono state deposte nell’asilo mortuario del Romito. Ma purtroppo questo drammatico bilancio è solo provvisorio. Man mano che lo smassamento delle macerie va avanti molti altri corpi vengono recuperati.
“Chi torna dal lavoro e non trova più la sua casa chiede agli altri notizie dei suoi familiari e scava mani nude insieme ai soccorritori, chiamando per nome il figlio o la moglie o i genitori. Altri abbracciano convulsi i familiari scampati alla morte. Le tragedie degli altri, tante volte udite nei racconti dei superstiti e lette sui giornali da oggi sono anche le tragedie dei fiorentini.
La lapide posta in Via Mannelli a ricordo del bombardamento del 25 settembre 1943.
Nessuno può immaginare che altre bombe arriveranno nel cielo fra pochi mesi e raderanno al suolo tante case di Rifredi, San Jacopino, Porta al Prato e Campo di Marte. Questa volta i piloti americani che voleranno su Firenze non sbaglieranno la mira e colpiranno lo scalo e la stazione di Porta al Prato, lo scalo del Romito, le officine ferroviarie e le stazioni del Campo di Marte, Rifredi e di Castello”.
Molti palazzi in città hanno voluto conservare sulle facciate le indicazioni per i rifugi. Queste sono state fotografate nel quartiere di Montughi.
1 In Firenze in guerra, Edizioni del Palazzo, Firenze 1984. È un racconto pieno di persone vere, alcune ancora in vita oggi (2009), e preciso nei particolari; utile per capire che cosa significava il bombardamento di una città; e questo di Firenze il 25 settembre del 1943 fu meno grave di altri, come a Napoli e a Palermo nel 1942 e nel 1943, e a Milano e a Torino fino al 1945. Ugo Cappelletti, giornalista, scrittore (anche di Firenze città aperta, edizioni Bonechi), aveva 12 anni nel 1943 e ha ricostruito quella tragica mattinata fiorentina con una attenta ricerca di testimonianze.
2 L’UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea) era una organizzazione istituita nel 1936 e basata su rifugi ricavati nelle cantine, dove esistevano, delle abitazioni. In ogni palazzo un inquilino veniva nominato “capo fabbricato” con l’incarico di far rispettare l’ordine di ricovero di tutti i presenti nel rifugio al suono della sirena d’allarme e la permanenza nel rifugio fino alla sirena del cessato allarme. L’allarme era dato con sei suoni di sirena di 15 secondi, intervallati da pause di uguale tempo; il cessato allarme veniva segnalato con un fischio di sirena prolungato per due minuti. Durante l’allarme i portoni delle case dovevano rimanere aperti per le persone di passaggio.