1° ottobre
È domenica; una giornata grigia ma tiepida. Da due giorni Roma è tappezzata da manifesti che invitano gli ufficiali che dopo l’armistizio dell’8 settembre hanno lasciato i loro reparti a recarsi al teatro Adriano in piazza Cavour per ascoltare il maresciallo Rodolfo Graziani. È la sua prima uscita dopo la nomina a ministro della difesa nazionale nel neonato governo della Repubblica Sociale. “Sono io, sono proprio io che vi parlo” ha detto gia ieri sera alla radio1; “Chi vi parla” dice oggi “è il maresciallo d’Italia il quale, durante la sua lunga vita di soldato, ha ampiamente conosciuto fortuna e malasorte, il sole della gloria e l’ombra dell’ingratitudine”.
Quattromila riempiono il teatro. Sul palco, dietro l’oratore, siedono Alessandro Pavolini, neosegretario del Partito fascista repubblicano, e il generale tedesco Rainer Stahel, comandante della piazza militare di Roma.
Graziani è in divisa di maresciallo d’Italia, le stellette del regio esercito ancora sui baveri della giacca, il petto carico di nastrini. Gigantesco, a capo scoperto, parla a braccio, agitando la bianca chioma leonina: “Ufficiali, soldati, marinai, aviatori e militi delle forze armate italiane, popolo italiano tutto!” e poi l’annuncio: “Sono stato chiamato dal destino a stringere il pugno intorno alla spada per cancellare la macchia della vergogna con la quale l’infedeltà e il tradimento hanno deturpato la bandiera d’Italia”
Il manifesto diffuso a Roma dopo il discorso del maresciallo Graziani al teatro Adriano; anche uno sfogo contro il suo nemico Badoglio.
Per buona parte il discorso è contro Badoglio, suo nemico da sempre, che ha perso il diritto di chiamarsi ufficiale, che ha tradito gli alleati germanici, nipponici e delle altre nazioni impegnate nella lotta comune, che ha lasciato nell’anarchia e nel caos le forze armate, quelle forze armate che “nelle tragiche giornate del 9 e del 10 settembre e successive, senza guida, senza ordini, senza condottiero e capi, si sono dissolte, hanno abbandonato le armi, subendo così l’onta e la vergogna, conseguenza del disonore seminato da Badoglio sulla scia della sua sicura fuga”.
Graziani ne ha anche per il re e la sua Casa, che “non possono salvarsi in questa drammatica e disonorevole crisi. Gli annali millenari del popolo italiano non conoscono infatti un re, né un principe, i quali nell’ora del rischio abbiano abbandonato la loro gente ed i loro soldati per rifugiarsi presso il nemico”. Il re “col suo atto ha distrutto il giuramento che a lui prestammo” ed “ha distrutto le forze armate di cui pure fu comandante supremo, lasciandole senza guida”.
Quindi, dice ancora Graziani, “bisogna onorare l’alleanza con la Germania, riprendere le armi, perché la guerra non è perduta, sotto le bandiere del nuovo stato repubblicano”. I militari si inquadrino perciò “volontariamente nel fronte nazionale e popolare di un Fascismo repubblicano liberato da ogni scoria di ambizioni e di cupidigie personali”; “ripristinando l’onore, metteremo mano alla costituzione delle nuove milizie del popolo italiano, giovani, modernamente armate, idealmente partecipi di una fede e di una volontà”.
Viene letto il telegramma inviato da Mussolini. “Ancora una volta la storia dovrà riconoscere che il nostro popolo possiede sempre la facoltà millenaria di risorgere anche nelle più dure e nelle più drammatiche situazioni, non appena una parola d’ordine e uno spirito nuovo esaltino i cuori e la volontà concorde di tutti. Oggi questo spirito nuovo si riassume nel binomio Fascismo-Repubblica ed è sotto questa rivoluzionaria bandiera che i soldati italiani riprenderanno i loro posti di battaglia”.
Applausi prima, applausi dopo; applausi anche per il generale Stahel, che porta l’adesione della Werhmacht. In un clima di esaltazione generale si forma un corteo con alla testa Graziani e Stahel che si dirige in piazza Venezia per rendere omaggio al milite ignoto. I giornali di domani scriveranno che questa sera stessa quattrocento ufficiali si sono arruolati nell’esercito repubblicano.
Due settimane fa, il 18 settembre, il generale Stahel ha firmato un manifesto, affisso nelle vie centrali di Roma: “I militari italiani di qualsiasi grado, anche quelli appartenenti a reparti scioltisi, dovranno presentarsi in uniforme SUBITO presso il più vicino Comando Militare germanico. I militari che non si presenteranno saranno deferiti al Tribunale di guerra”.
1 In Diario 1935-1944, BUR, 2001
Con la collaborazione di Franco Arbitrio